La Stampa, 22 dicembre 2023
Intervista a Ezio Mauro
Riscopriamo, rivediamo, riscriviamo, solleviamo il velo sugli angoli più bui. Da molti decenni secondo la destra siamo prigionieri di narrazioni mendaci, chiusi in un carcere di mezze verità o di false acquisizioni: la liberazione dalla struttura narrativa elaborata fino a oggi dalla sinistra è quindi la missione prioritaria per esponenti di governo e intellettuali vicini alla destra (e sarà anche il leit motiv culturale della campagna elettorale delle prossime elezioni europee). Così si sta lavorando alacremente per fiction, esposizioni e rassegne che rivisitino da un punto di vista identitario, patriottico e sovranista il Futurismo, Marinetti, D’Annunzio, Marconi, Mishima e tanto altro ancora. I vertici Rai hanno promesso un nuovo storytelling. Ad aprire le danze sarà, per esempio, lo sceneggiato La lunga notte, dedicato al colpo di Stato del 1943 che liquidò il governo Mussolini. Operazione nostalgia o riscoperta di grande attualità? È possibile riportare in auge, calandolo nelle dinamiche del nostro tempo, il «Mascellone», come lo chiamava l’irriverente Carlo Emilio Gadda, o il «mio Dux», come lo appellava Margherita Sarfatti?Lo abbiamo chiesto a Ezio Mauro che ha appena riscosso un gran successo con La caduta. Cronache della fine del fascismo, lo speciale andato in onda su La 7 che si rifà al recente libro (Feltrinelli) dell’editorialista e saggista e alla rappresentazione teatrale dei mesi cruciali del 1943 che sancirono la fine del governo di Benito Mussolini.Come e in che modo è presente tra noi il dittatore di Predappio?«È il personaggio più indagato e sviscerato attraverso migliaia di libri e di documenti. Il materiale su Mussolini è sterminato e importante. Vi sono i Diari di Galeazzo Ciano, le memorie della moglie del Duce, di Giuseppe Bottai, di Dino Grandi, del generale Paolo Puntoni, primo aiutante di campo di Vittorio Emanuele III, dell’ambasciatore Ortona, il libro dello stesso Mussolini dedicato al 1943 e persino le intercettazioni telefoniche per cui furono impiegati ben quattrocento stenografi. Dopo migliaia di ricerche non esistono punti oscuri. La destra e i suoi studiosi coltivano l’unica ambizione oggi possibile: riscrivere la storia cercando, per esempio, una dimensione ardimentosa e gloriosa che appassionò e coinvolse gli italiani nel Ventennio».È possibile una contro-epopea della dittatura?«Mussolini ha al contempo sedotto e violentato gli italiani, che si sono fatti ipnotizzare dalla sua retorica. Ha incantato la nazione con una falsa rappresentazione delle esigenze belliche e delle necessità militari di conquista di nuovi territori. Ma non ci sono fatti o eventi che permettano di individuare una nuova epica del Ventennio, connotato da eventi drammatici come l’avventura coloniale, la deportazione degli ebrei o l’entrata in guerra dell’Italia. La storia del regime è tutta contrassegnata dalla percezione della sconfitta. Mussolini, per esempio, ha ingannato se stesso e gli italiani pensando di accodarsi all’impresa hitleriana e di poter conquistare nuovi territori, come Nizza, la Savoia, la Corsica e la Tunisia, sperando perfino di sostituirsi agli inglesi nel protettorato sull’Egitto e sul Sudan. Una follia. L’Italia non aveva alcuna preparazione militare e nemmeno la forza produttiva e industriale per tutto questo».Le esternazioni guerrafondaie di Mussolini possono essere riesumate da destra come fonti di orgoglio per la nazione che si era considerata umiliata dalla vittoria mutilata della Grande Guerra?«Per nulla. Nel 1938 Mussolini, dopo la conferenza di Monaco in cui l’Italia, il Regno Unito e la Francia riconobbero alla Germania la facoltà di annettersi i Sudeti, rientrò in Italia e da palazzo Venezia annunciò: “A Monaco noi abbiamo operato per la pace secondo giustizia. Non è questo l’ideale del popolo italiano?”. L’ovazione della folla questa volta deluse profondamente il dittatore. Altro che sentimento patrio: dopo anni di propaganda il Duce non aveva creato il militaresco uomo nuovo che desiderava».Siamo al paradosso? Mussolini fu scarsamente patriota? La corrispondenza di amorosi sensi tra Duce e nazione dove va a finire con Mussolini che sentenziò “Governare gli italiani non è difficile, è inutile”?«Finisce male. Il dittatore fu aspro prima con i siciliani, che non avevano resistito allo sbarco alleato, poi con i militari, che per lui non erano combattenti ma burocrati. E poi sostenne: “Per gli italiani esistono solo pane e testicoli, per il resto, valori e doveri niente”. Di tutto questo non tengono conto i leader di destra, dalla premier Giorgia Meloni a Ignazio La Russa che si sono espressi di recente sulla dittatura. Non esiste da parte loro un giudizio complessivo sul fascismo. Vi sono solo parziali esternazioni critiche, giuste e decise ma esclusivamente su singoli episodi clamorosi come le leggi razziali. La dittatura viene raccontata da destra come un regime che segue una retta via da cui ogni tanto vi sono delle deviazioni. Si lavora alla banalizzazione del Ventennio».E dunque?«Per la destra l’antifascismo non è un valore ma un residuato bellico. L’obiettivo attuale non è l’operazione di recupero di camicie nere e gagliardetti ma svellere l’impianto concettuale che lega la Resistenza e la Liberazione alla Costituzione scritta proprio per rifiutare gli abusi mussoliniani. Siamo all’anno zero, si dice a destra, basta con il fascismo e l’antifascismo. Significa esimersi dal prender posizione anche rispetto al concetto di democrazia. Con i progetti di riforma del premierato si vuole smantellare proprio la cornice istituzionale, l’alveo della nostra democrazia. È invece il dettato costituzionale nato dalla lotta resistenziale che permette l’affermazione di un patriottismo democratico che deve essere patrimonio di tutti, di destra e di sinistra, dopo l’abuso retorico che ne fece Mussolini collegandolo alla mancanza di libertà e alla violenza. La destra che propone revisioni o riletture del fascismo non riuscirà mai a individuare controverità o rivelazioni nascoste. È dominata da un sentimento sotterraneo di rivincita perseguito peraltro con l’affanno, di corsa come se non si avesse il tempo necessario per riscrivere tutta la storia italiana».—