Il Messaggero, 22 dicembre 2023
Patto, un piano per fare cassa
Il via libera formale al nuovo Patto, dopo quello politico raggiunto in videoconferenza dai ministri economici dei Paesi europei, è arrivato ieri. Il pacchetto, che ha avuto il disco verde dei rappresentanti dei ventisette Stati membri dell’Ue, è composto da due regolamenti e una direttiva. Ma che impatto avranno le nuove norme sui conti italiani? L’accordo, secondo fonti di Bruxelles, è migliorativo rispetto alle vecchie regole. Attualmente i Paesi che hanno un deficit sotto il 3 per cento e, dunque, si trovano nel “braccio preventivo” delle regole europee, dovrebbero continuare comunque a ridurre il deficit strutturale. L’Italia dovrebbe addirittura arrivare ad avere un surplus nei suoi conti dello 0,25 per cento. Insomma, per Roma poter avere un deficit strutturale fisso dell’1,5 per cento sarebbe una vittoria. Secondo il sottosegretario alla Presidenza, Giovambattista Fazzolari, rispetto alle vecchie regole si “libererebbero” 35 miliardi all’anno per l’Italia. Ma in realtà le vecchie regole sono sospese dal 2020 e, dunque, il confronto andrebbe fatto con un saldo strutturale che nel 2024 e nel 2025 viaggia ben oltre il 4 per cento, ben lontano dall’1,5 per cento. Comunque sia anche l’aggiustamento annuale per raggiungere questo obiettivo è minore: dallo 0,6 per cento attuale allo 0,4 per cento. Significa un risparmio di 4 miliardi l’anno per i conti pubblici.E queste, si potrebbe dire, sono le buone notizie. Poi ce ne sono altre meno buone. Come per esempio la necessità di dover utilizzare il criterio più oneroso tra il taglio dell’1 per cento annuale del debito e la convergenza verso l’1,5 per cento di deficit strutturale, per raggiungere gli obiettivi. Lo sforzo fiscale del Paese dovrà essere quello maggiore possibile. La domanda a questo punto è anche un’altra? Che margini rimangono al governo italiano per la sua politica fiscale? La Nadef, la Nota di aggiornamento al Def, è già in linea con le nuove regole del Patto di Stabilità. Ovviamente a Pil invariato, ossia se il prossimo anno la crescita sarà effettivamente dell’1,2 per cento come stimato dal governo. Altrimenti il percorso sarà in salita. Ma c’è un altro punto rilevante. Sia il taglio del cuneo contributivo per i redditi fino a 35 mila euro, che la riduzione delle aliquote Irpef sono state finanziate per un solo anno, e dunque non sono comprese nei conti dopo il 2024. Così se da un lato è vero che con le regole del nuovo Patto non saranno necessarie manovre correttive (se il Pil non calerà), è altrettanto vero che la prossima legge di Bilancio non potrà più contare sulla leva del deficit per finanziare queste misure. Andranno dunque trovati altri canali di finanziamento per trovare i 14 miliardi necessari a coprire entrambe le misure. Almeno per quanto riguarda il taglio delle tasse, il governo ha iniziato da tempo a lavorare ventre a terra all’attuazione della delega fiscale firmata dal vice ministro all’economia Maurizio Leo. Una riforma che porterà una buona “dote” per proseguire il taglio delle tasse nel 2025. IL PASSAGGIOIl governo ha creato un “Fondo per l’attuazione della delega fiscale”. Fondo nel quale finiranno tutte le risorse generate dai decreti attuativi. Che iniziano ad essere molte. Ci sono, per esempio, 3,5 miliardi dell’abolizione dell’Ace, l’aiuto alla crescita economica, un incentivo alla patrimonializzazione delle imprese introdotto 10 anni da. Ai quali si aggiungono gli 1,8 miliardi del concordato preventivo per le Partite Iva (il decreto è in via di approvazione alle Camere), e il riordino dei giochi on line, che porterà altri 450 milioni di gettito. E poi il gettito della Global minimum tax, la tassa sulle multinazionali che hanno sede all’estero ma fanno guadagni in Italia. Per la prossima manovra, insomma, Leo sta mettendo “fieno in cascina”. Ma poi sarà anche necessario mettere mano alla spesa pubblica. E qui il compito, affidato a Giancarlo Giorgetti, potrebbe essere meno semplice.