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 2023  dicembre 21 Giovedì calendario

Claudio Magris, il presepe e un piccolo bulldog di legno

Molti anni fa, quando insegnavo all’Università di Trieste, sono stato accusato di aver rimosso dalla bacheca nel corridoio dell’Istituto di Filologia Germanica un’immagine o una specie di disegno di Babbo Natale, col suo cappotto rosso e l’espressione giuliva nel volto rubizzo e svampito, con un pizzico di complicità lasciva. Ero innocente, non avevo intrapreso alcuna crociata contro quel pupazzo, ma in quei corridoi era nota la mia antipatia per la trasformazione in una pubblicità da supermarket dell’abete con i suoi globi di vetro, la capanna di Betlemme col neonato, Maria e Giuseppe, l’asino e il bue che lo riscaldano con il loro fiato e la stella cometa che guida i Magi in cammino con i loro doni.

Ogni anno, in questi giorni, preparo il presepe tirandolo fuori dalla cantina, sistemo sul tetto della capanna l’angelo che annuncia e promette gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in terra agli uomini di buona volontà, e dispongo fra la paglia, che simula campi e prati, i pastori, le pecore e le avanguardie dei Magi in groppa a cammelli e dromedari. Quando ero bambino, zio Nello, che era non solo ingegnere ma anche un mago di invenzioni ingegneresche, mi costruiva questo presepe che sapeva rendere semovente. L’angelo, i pastori, la sacra famiglia, tutti messi in moto da un meccanismo nascosto sotto piccoli specchi che simulavano laghi. Lavorava per un paio d’ore a questa scenografia mobile — c’erano anche dei fili inappariscenti che dovevano muoversi e arrestarsi porgendo un regalo desiderato, davanti a ogni bambino. Durante la preparazione di questo rituale lo zio si applicava due ali, affinché, guardando la scena dalla stanza adiacente, si vedessero, attraverso il vetro opaco, vaghe figure che avrebbero potuto essere angeli.

Avrei voluto che sotto l’albero ci fosse il mondo intero. Così mettevo nel presepe tutti i giocattoli, gli oggetti e le figure possibili, anche strampalate, in modo che nessuno, almeno in quella notte, restasse all’aperto solo e indifeso. Soldatini di piombo, carrarmati che si muovevano avanti e indietro, cammelli e dromedari, cavalieri di cartapesta. Sotto l’albero c’era e c’è ancora un mini bulldog di legno, che avevo rubato, e in seguito restituito e infine riavuto, a un mio compagno di classe, poi colpito a morte durante una sparatoria della polizia inglese — al tempo in cui Trieste era un Territorio Libero governato dagli angloamericani — che aveva aperto il fuoco contro una dimostrazione per il ritorno di Trieste all’Italia. Quel piccolo bulldog di legno c’è ancora, è riemerso pochi giorni fa dalla cantina dove ritornerà presto insieme alle altre cose, misteriosamente inabissato, come se non si potesse essere certi che fra un anno riemergerà.