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 2023  dicembre 21 Giovedì calendario

Intervista a Martina Zola

«La prima volta fu un disastro». Martina Zola, figlia dell’ex calciatore Gianfranco, all’epoca attaccante del Chelsea, aveva 20 anni. Si avvicinava allo Jiu-Jitsu (disciplina delle arti marziali), uno sport che per cultura e tradizione soprattutto è da maschi.
Martina, ce la racconta quella prima volta?
«Il momento più brutto ma anche quello in cui mi convinsi che quello era lo sport che volevo fare. Lottavo con un ragazzo, era sudatissimo, aveva la fronte bagnata, mentre resistevo osservavo le gocce sulla sua fronte, ne cadde una e mi finì nell’occhio: un brivido e un fastidio. Fui più forte, continuai a lottare. Mi dissi: se ho superato questo, vado avanti e un giorno vincerò. Osservare da bambina mio padre, i sacrifici che ha fatto per affermarsi nel calcio, non vederlo quasi mai perché era al campo ad allenarsi, godere dei suoi trionfi mi ha avviato in maniera naturale alla competizione, dentro di me c’è la passione per lo sport, vissuta in maniera seria e sana».
Sacrifici, rinunce e ribellione a qualsiasi forma di pregiudizio («quanti ne ho visti e ancora ne vedo nei confronti delle donne ma non mi hanno fermata»). Martina 10 anni dopo ha vinto il bronzo ai Mondiali di Las Vegas nella categoria 125 libbre (57 chili circa). Forza e valori di famiglia a diecimila chilometri da Oliena, cuore della Barbagia.
Da bambina giocava con le bambole o faceva la lotta con i maschietti?
«Facevo ginnastica artistica ma nella mia testa ho sempre cercato qualcosa di più sfidante, performante. Ero incuriosita dalle arti marziali ma in Sardegna non c’erano palestre dove poter approcciare questo sport. Nella vita poi tutto avviene nel momento giusto e quando ci trasferimmo tutti a Londra con papà al Chelsea, iniziai a pensare che lì c’erano le palestre che mi interessavano. Prima di arrivarci ne è passato di tempo. Dopo il college ho fatto un master in cinematografia, ho partecipato anche alla produzione di qualche documentario, ma dopo un po’lasciai perdere. Lì c’erano le palestre “giuste” dove trascorrevo anche sei ore al giorno».
La sua famiglia come ha reagito?
«Papà mi ha incoraggiata, intuiva che quella ragazzina faceva sul serio ed era disposta a fare sacrifici. Io mi rivedevo in lui, e probabilmente lui in me. Ci vuole tanta forza fisica e anche tecnica. Ho superato tanti infortuni ma non ho mai mollato. Papà per me è stato un esempio, di resistenza, umiltà e successo».
Resta uno sport maschile?
«Assolutamente. Molte donne ci rinunciano per il contatto ravvicinato con l’uomo. Non è tanto una questione di resistenza fisica e mentale, ma proprio di scomodità. A livello igienico a molte dà fastidio. All’inizio perdi sempre, viene meno la fiducia e la consapevolezza».
Le partite del padre
«Il pallone? Da piccola non mi piaceva, non lo capivo: allo stadio ero immersa nel rumore»
La medaglia di bronzo è un traguardo?
«No, sinceramente potevo fare meglio e quindi sono contentissima ma volevo di più. C’è bisogno di pazienza e resistenza, è uno sport dove manca anche il controllo. Molti atleti uomini assumono steroidi e non c’è controllo. Li ho visti con i miei occhi. E mi arrabbio perché io e gente come me si allena tutto il giorno per raggiungere gli obiettivi».
Fidanzato geloso?
«Sono single ma confesso che i tre fidanzati che ho avuto sono tutti lottatori, alla fine siamo una comunità».
Al calcio non è stata mai interessata?
«Da piccola non mi piaceva perché non lo capivo, andavamo a vedere le partite di papà ma non conoscevo le regole, vivevo quei momenti in maniera confusa, immersa in un rumore incredibile, senza rendermi conto di nulla. Col tempo poi ho imparato e allora è stato sicuramente più piacevole. I successi di papà mi hanno coinvolta molto».
Non ha più lasciato l’Inghilterra.
«Avevo 4 anni la prima volta che sono andata a Londra, poi siamo tornati in Sardegna che ne avevo 11 e definitivamente rientrati in Inghilterra a 16. È la città che mi ha cambiato la vita. Sono legata alla cultura inglese, ormai è la mia casa, anche se ogni sei mesi sento forte il desiderio di tornare nella mia terra».
Questa intervista chi farà felice?
Dalla Sardegna a Londra
Da piccola facevo ginnastica artistica ma cercavo qualcosa di più sfidante. Quando ci siamo trasferiti a Londra ho trovato le palestre che mi interessavano. Stavo lì anche 6 ore al giorno
«Mia nonna, la prima che correrà a comprare il giornale».