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 2023  dicembre 21 Giovedì calendario

Tutto quello che col bavaglio non avremmo mai saputo

Monica Serra per la Stampa
La gestione dei vertici di Autostrade svelata dopo il crollo del ponte Morandi con le sue quarantatré vittime. Lo schianto della funivia del Mottarone. E poi decine di femminicidi, come quelli di Giulia Cecchettin e di Giulia Tramontano. L’arresto dei complici di Matteo Messina Denaro.
È lungo l’elenco delle vicende di cronaca giudiziaria che i giornali non avrebbero potuto e non potranno raccontare se dovesse entrare in vigore l’emendamento «bavaglio» del centrista Enrico Costa. In poche righe, il testo fa fare un enorme passo indietro alla libertà di stampa e al diritto dei cittadini di essere informati anche in presenza di un indiscutibile «interesse pubblico». Senza più alcun tipo di trasparenza sui motivi per cui dei magistrati chiedono e un giudice decide di privare un cittadino della cosa più importante che ha: la libertà personale. A maggior ragione, in una fase in cui le indagini sono in corso.
Il testo, che ha superato il vaglio della Camera, modifica l’articolo 114 del codice di procedura penale, laddove – con la riforma Orlando del 2017 divenuta legge due anni dopo con la firma di Alfonso Bonafede – vietava «la pubblicazione, anche parziale, degli atti non più coperti dal segreto fino a che non siano concluse le indagini preliminari, fatta eccezione per l’ordinanza» cautelare. Nell’emendamento, invece, «il divieto di pubblicazione integrale o per estratto» si allarga anche al «testo dell’ordinanza di custodia cautelare finché non siano concluse le indagini preliminari ovvero fino al termine dell’udienza preliminare». Quindi nei 6, 12, 18 mesi… successivi all’esecuzione del provvedimento.
In una situazione in cui, peraltro, grazie alla riforma Cartabia, la valutazione dell’interesse pubblico del sequestro dell’azienda che gestisce il «Cpr della vergogna» di Milano così come l’arresto ai domiciliari di moglie e suocera del parlamentare Aboubakar Soumahoro (accusate di spendere in alberghi e borse griffate i soldi destinati ai migranti delle loro cooperative) è demandata al capo di ciascuna procura e, in genere, a un suo sterile comunicato. Che non a caso l’ex reggente di Milano, Riccardo Targetti, nei mesi scorsi ha definito «la velina del regime».
E ancora, lo spaccio e gli orrori alla caserma Levante dei carabinieri di Piacenza, dove le «pratiche illegali» venivano consumate «con l’arroganza e la convinzione che le vittime non avrebbero avuto voce». Le «torture» e «l’abituale utilizzo della violenza gratuita» da parte dei poliziotti della questura di Verona, travolta dallo scandalo. Giusto per citare il virgolettato di qualche gip, che ancora è concesso.
Dopo l’arresto dell’ex capo di Cosa Nostra, Matteo Messina Denaro, latitante per trent’anni, non avremmo potuto sapere come un medico massone, protagonista della vita politica di Trapani, lo abbia curato e coperto per così tanto tempo. Come lo abbiano aiutato le tante donne della sua vita. Basti pensare alle misure cautelari antimafia che coinvolgono decine di persone e ricostruiscono sistemi complessi in centinaia o migliaia di pagine. Senza leggerle, un cronista dovrà raccontare le operazioni affidandosi alla ricostruzione di una parte (l’accusa) o dell’altra (la difesa) senza capire quali siano gli indizi, le testimonianze, le intercettazioni, i sequestri e il ragionamento in base al quale un giudice terzo abbia deciso di firmare quella misura.
Nessun giornale avrebbe potuto riportare le intercettazioni per cui, nell’inchiesta «Morandi bis», dopo il crollo del ponte, è finito ai domiciliari l’ex ad di Autostrade Giovanni Castellucci accusato di attentato alla sicurezza dei trasporti e frode nelle pubbliche forniture. Di fatto la prima ordinanza che ha permesso di raccontare come l’azione dei manager del gruppo sarebbe stata guidata dall’esigenza di «massimizzare i profitti minimizzando i costi» e «nascondendo» i problemi quando si manifestavano con crolli o altri inconvenienti. Nessun giornale lo avrebbe potuto raccontare fino a oggi. Fino all’apertura dell’udienza preliminare.
Quel che è peggio è il messaggio che si legge tra le righe dell’emendamento, che rappresenta uno spaventoso tuffo nel passato in una Paese che nelle classifiche internazionali di certo non brilla per la tutela della libertà di stampa. Perché se dovesse passare questo emendamento, nessun giudice illuminato sarà più disponibile a mettere a disposizione le sue ordinanze. Ma le notizie circoleranno ancora, magari sotto banco, in un sistema più «opaco» e che rischia di tutelare meno gli stessi indagati. Nonostante l’interesse dei cittadini. Come dice Costa: «È una questione di civiltà». —

Massari per il Fatto

Riassumere, sì, ma come. Come sintetizzare, per esempio, il manifesto ideologico di Massimo Carminati che, intercettato nell’inchiesta Mafia Capitale, descrive l’esistenza del “mondo di mezzo”? O le risate di alcuni imprenditori registrate all’indomani di un terremoto mentre pregustano nuovi cantieri e nuovi affari. Perché privare i lettori di frasi che da sole spiegano un intero contesto d’indagine, come quando Salvatore Buzzi, intercettato dalla procura di Roma, dice: “Tu c’hai idea quanto ce guadagno sugli immigrati? Il traffico di droga rende meno”? E quanti elementi in meno avremmo sul femminicidio di Giulia Tramontano senza le sue chat?
Martedì la Camera ha approvato l’emendamento che prevede il “divieto di pubblicazione integrale o per estratto dell’ordinanza di custodia cautelare finché non siano concluse le indagini preliminari”. Norma che si aggiunge ai limiti già imposti dalla riforma “sulla presunzione d’innocenza” varata dall’ex ministra Marta Cartabia, che ha disposto sanzioni disciplinari a chi, tra i pubblici ufficiali, fornisce documenti ai cronisti (che devono attenersi a conferenze stampa e comunicati). Adesso si passa alle ordinanze: tocca riassumerle. Non è sempre un compito agevole. A rimetterci saranno i lettori (rischiano informazioni imprecise) e gli stessi indagati (rischiano descrizioni imprecise). I cronisti, dinanzi a una smentita, non potranno opporre il virgolettato di un giudice: i fatti sembreranno opinioni.
Prendiamo la celebre intercettazione di Massimo Carminati nell’inchiesta Mafia Capitale: “È la teoria del mondo di mezzo compa’… ci stanno.. i vivi sopra e i morti sotto e noi stiamo nel mezzo… un mondo in mezzo in cui tutti si incontrano e dici cazzo come è possibile che ne so che un domani io posso stare a cena con Berlusconi… capito come idea? Il mondo di mezzo è quello invece dove tutto si incontra… le persone di un certo tipo… di qualunque cosa… si incontrano tutti là… tu stai lì… ma non per una questione di ceto per una questione di merito, no?… allora nel mezzo, anche la persona che sta nel sovramondo ha interesse che qualcuno del sottomondo gli faccia delle cose che non le può fare nessuno… e tutto si mischia”.
Precisando che Carminati non incontrò Berlusconi, il cronista dovrebbe spiegare che l’indagato sostiene di vivere in un mondo intermedio, nel quale metaforicamente s’incontrano i vivi e i morti e vige un peculiare concetto di meritocrazia. A quel punto, se Carminati rivendicasse l’incapacità d’intendere e volere, il lettore sarebbe il primo ad accordargliela.
Le intercettazioni dell’ex senatore di Forza Italia, Giancarlo Pittelli, condannato in primo grado a 11 anni, e le considerazioni della Dda di Catanzaro, le avreste lette 13 mesi dopo il suo arresto. Vi sareste dovuti accontentare di sapere che nel dicembre 2019 l’ex parlamentare era finito in carcere per concorso esterno con la ’ndrangheta. Il cronista avrebbe potuto spiegare che al centro dell’inchiesta c’erano i suoi rapporti con il mammasantissima Luigi Mancuso. Ma senza la descrizione fornita dai giudici: “L’affarista massone dei boss della ’ndrangheta calabrese” veniva nominato loro legale “in quanto capace di mettere mano ai processi con le sue ambigue conoscenze e rapporti di ‘amicizia’ con magistrati”. In sostanza Pittelli secondo l’accusa era amico di magistrati, quindi poteva intervenire (sarà la definizione giusta?) sui processi o manipolarli (sarà la definizione giusta?) e per questo era scelto come avvocato dai boss. E come definire altrimenti il suo ruolo di “cerniera tra i due mondi” in una “sorta di circolare rapporto ‘a tre’ tra il politico, il professionista e il faccendiere”?
Le “barriere attaccate con il Vinavil” che hanno portato all’arresto dell’ex potentissimo amministratore delegato di Autostrade per l’Italia Giovanni Castellucci si sarebbero trasformate in sbarramenti metaforicamente sigillati con colla usata nelle scuole elementari? E le sfuriate del suo fedelissimo, il capo delle manutenzioni Michele Donferri Mitelli, registrato dai sottoposti mentre chiedeva di “abbassare i voti” sui viadotti (la valutazione del degrado), “perché devo spendere il meno possibile, devo ridurre al massimo i costi… e devo essere intelligente de porta’ alla fine della concessione”? Chiedeva forse di intervenire sulle pagelle per risparmiare con intelligenza in vista della concessione?
Restiamo alla strage del Ponte Morandi: l’ordinanza del settembre 2019 svela i falsi report sulla sicurezza e i depistaggi seguiti alla strage di Avellino: “Devi stringere un accordo con il capo – diceva Donferri Mitelli al collega Paolo Berti, appena condannato per la strage del viadotto Acqualonga – 40 morti de qua, 43 de là, stamo tutti sulla stessa barca”.
Sulla base di quelle rivelazioni, e del loro impatto sull’opinione pubblica, i Benetton dovettero convocare un Cda straordinario di Atlantia e costringere Castellucci alle dimissioni. Oggi quella frase come dovremmo riassumerla? Castellucci si dimetterebbe ancora?
Inchiesta milanese Mensa dei Poveri (2019), il nuovo tangentificio Lombardia. L’imprenditore Daniele D’Alfonso, intercettato, dei politici spiega: “Ho seminato talmente tanto, io a tutti quanti ho dato da mangiare!”. Come tradurre questa frase in un articolo imbavagliato? E come descrivere le parole scritte in chat da Giulia Tramontano, poco prima di morire, incinta di sette mesi, ad Alessandro Impagnatiello, il suo compagno omicida, dopo aver scoperto il suo tradimento: “Ti amo (…) Wow, sono curiosa cosa ti inventerai ora, gran pezzo di merda che non sei altro, quella è casa mia e tu non devi farci entrare nessuno hai capito? Quanto fai schifo (…). Hai fallito nella vita, due figli con due madri diverse, che tu possa affogare nella merda che ti crei da solo. Sto tornando a casa fatti trovare”.