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 2023  dicembre 20 Mercoledì calendario

Insostenibile un’Italia senza figli

L’Italia senza figli è «un sistema insostenibile». È il parere dei giovani economisti, tutti under 30, interpellati sui dati dell’ultimo Censimento dell’Istat che hanno riportato un nuovo crollo della natalità del Paese con sole 393 mila nascite nel 2022. Settemila in meno dell’anno precedente, 183 mila in meno rispetto al 2008. Numeri che non raccontano soltanto di un’Italia che invecchia e non cresce più, scendendo sotto quota 59 milioni per la prima volta dal 2006, ma disegnano un quadro più preoccupante per il presente e il futuro del mondo del lavoro, delle pensioni, delle condizioni di vita delle famiglie. Di un contesto che «senza interventi non può che peggiorare».E quali sono le conseguenze dell’inverno demografico? Il primo, più scontato, è l’equilibrio del sistema pensionistico: «Abbiamo di fronte altri 20 anni di aumento della spesa pensionistica – ammette Francesco Armillei, 27 anni, dottorando in Economia all’Università Bocconi – con sempre più persone in pensione e sempre meno che producono ricchezza. La realtà è che non potremo tenere l’età pensionabile come quella di oggi per decenni». Un 70enne in fabbrica? «Questo mai. Servirà trovare una nuova organizzazione del lavoro che permetta ai lavoratori di arricchire l’azienda, ma con un ritmo di lavoro sostenibile per il singolo». Ammesso che si trovino: le persone in età lavorativa, con il calo delle nascite, saranno sempre meno. «Negli anni a venire mancherà la forza lavoro» dice Francesco Beraldi, 28 anni, dottorando in Economia all’Università di Yale: «Con la legge Fornero, mandando in pensione i lavoratori più tardi, abbiamo rimandato il problema ma i nodi ora vengono al pettine. Dieci anni fa, in piena recessione, la carenza dei lavoratori era un problema secondario. Già con la ripartenza post-Covid le aziende hanno iniziato a patire l’assenza di personale».Ma l’Italia non è uno dei Paesi con il tasso di disoccupazione più alto in Europa? «Sì, e parliamo soprattutto di disoccupazione femminile – racconta Luisa Pomarici, ricercatrice dell’Università di Chicago – Ma è così soprattutto perché per le donne risulta impossibile conciliare il lavoro non solo con la maternità, ma anche con altri aspetti dell’assistenza familiare: nell’Italia di oggi anche il lavoro di cura verso gli anziani è svolto principalmente dalle donne». Anche questo si traduce in abbandono dei posti di lavoro o in part-time volontario: «E lo Stato sembra non occuparsi di perdere le sue contribuenti: un congedo di paternità di tre mesi e non solamente uno, lunghissimo, di maternità serve anche a contrastare questi abbandoni». La non autosufficienza degli anziani è un crocevia fondamentale anche per Pietro Galeone, ricercatore e professore a contratto dell’Università Bocconi: «Oggi il primo figlio si fa ben oltre i 30 anni. Questo significa avere nonni tra i più anziani in Europa, e le persone si trovano a dover assistere i bambini e i genitori contemporaneamente». Ma il fattore chiave, per Galeone, è il «lavoro precario unito ai salari che restano bassi. E l’instabilità non è solo determinata dal contratto: oggi si arriva, quando si è fortunati, ad avere uno stipendio decente alla soglia dei 30 anni. Se è a tempo determinato e tra tot anni non si sa neanche se si avrà un reddito e in che città, fare figli in uno scenario di incertezza tale non è scontato».Alessia Pulvirenti, ricercatrice all’Università di Bonn e presidente del think-tank italiano di studenti, ricercatori e professionisti del mondo dell’economia e delle scienze sociali “Tortuga” (che, tra i vari temi, ha un team specializzato in politiche ed effettidella natalità), non vuole sentire parlare di un problema culturale: «C’è chi ha detto che le donne italiane non vogliono più fare figli. Niente di più falso: siamo tra i Paesi più alti per gap di fecondità (l’intenzione delle donne di diventare madri rispetto al numero di figli avuti, ndr)». Certo «in Italia ci sono sempre meno donne in età fertile, e in questo caso l’immigrazione può offrire un aiuto fondamentale». Ma soprattutto «è al sistema che mancano le condizioni per avere dei figli: dal tempo pieno che non c’è ai pochi asili, con l’Italia che è sotto la soglia del 33% di posti rispetto ai bambini raccomandato dal Consiglio europeo nel 2002. E il rischio è che il Parlamento sia incentivato a politiche per gli anziani riducendo quelle per i giovani è alto: meno bambini, meno investimenti nella Scuola, più nelle pensioni». In questa direzione i fondi del Pnrr inizialmente previsti per 264 mila posti negli asili e poi tagliati a 150 mila sono un segnale: «Ma non dobbiamo rinunciare alle politiche per il futuro». È lo stesso pericolo che vede Chiara Lari, ricercatrice in Economia Comportamentale presso Behavia: «Con una popolazione che lavora che si riduce rispetto a quella anziana, sempre più contributi finiranno nelle pensioni e nella Sanità, che si dovrà occupare di sempre più anziani – spiega – questo a scapito di investimenti come per esempio nell’Istruzione, nella Cultura, nei trasporti pubblici. Altri asset determinanti per la qualità della vita di un Paese».Il futuro dell’Italia senza figli non è roseo. E iniziare con le politiche di sostegno alle famiglie oggi potrebbe non bastare: «Gli effetti positivi si vedrebbero almeno tra 30 anni, con l’ingresso nel mondo del lavoro dei nuovi nati» concordano gli economisti. Ma c’è una speranza: «Degli effetti anticipatori si vedrebbero già oggi – aggiunge Francesco Beraldi – Le imprese, sapendo di investire su un Paese che ha un futuro, punterebbero sull’Italia. E questo finirebbe con l’incidere anche sul tanto citato spread...».