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 2023  dicembre 20 Mercoledì calendario

Sugli Houthi

«Il nostro non è un colpo di Stato, è una rivoluzione, sociale, culturale e politica». Così in un’intervista a La Stampa del marzo 2015, alle origini della guerra civile in Yemen, Abdel-Malek Al Houthi spiegava la genesi e gli obiettivi del movimento sciita filoiraniano che aveva appena preso il controllo della capitale Sanaa.
Negli anni sempre più potenti, con un programma socio-economico definito, sono diventati l’emblema del malcontento di una folta schiera della popolazione, portavoce dei deboli e dei poveri, tanto da ergersi a «salvatori dello Yemen», oltre a definirsi «il vero e unico bastione anti-qaedista» sul territorio. Come spiega Al Houthi, «ma pochi ne sono consapevoli, e questo malgrado la nostra Storia e la nostra cultura. Siamo stati i principali emarginati della politica yemenita, abbiamo patito molte umiliazioni e sconfitte perpetrate dal regime dell’ex presidente Ali Abdullah Saleh. Siamo stati costretti a sopportare una repressione secondo criteri religiosi, e un isolamento politico a causa della nostra amicizia con l’Iran».
Dinanzi a questi eventi e di fronte al progressivo rafforzamento di Al Qaeda, gli sciiti hanno organizzato una milizia rivoluzionaria sotto la spinta dello sceicco Hussein Baddreddin Al Houthi, fratello di Abdel-Malek, assassinato nel 2004. Dopo la sua morte è iniziata una lunga fase di conflitto contro il governo centrale e ci sono state decine di migliaia di morti, oltre a 340 mila sfollati. I contrasti sono divenuti profondi e insanabili, e i tentativi di cambiamento, compresa una sorta di primavera araba, sono stati repressi sul nascere «come è accaduto a danno di altre minoranze sciite in altri Paesi».
La situazione dopo il 2014 è divenuta devastante, «e noi ci siamo fatti portatori delle istanze dei deboli e dei poveri, pronti a salvare lo Yemen, grazie anche a un programma socio-economico di natura progressista». La situazione in Yemen è nel frattempo precipitata, nel gennaio 2015 gli Houthi hanno circondato il palazzo presidenziale imponendo al capo dello Stato gli arresti domiciliari, e prendendo in mano il potere di fatto. Il movimento però ha sempre respinto le accuse di aver messo in atto un colpo di Stato: «La nostra è stata una rivoluzione sociale, culturale e politica». Gli Houthi si sono sentiti abbandonati nella guerra contro il terrorismo di cui hanno fatto una bandiera: «L’esercito regolare yemenita e il potere centrale ci hanno lasciato soli a contrastare jihadisti e qaedisti», proprio mentre Ayman Zawahiri faceva un appello per una unificazione tra Al Qaeda nella Penisola arabica e lo Stato islamico, per combattere gli alleati di Teheran. Il puntello della guerra settaria è diventato la bussola della loro politica e azione militare.
Per quanto riguarda i legami con l’Iran Abdel-Malek Al Houthi spiega che esiste uno stretto legame tra Houthi e Ayatollah iraniani, ma è più spirituale. Gli Houthi appartengono allo Zaydismo, una corrente sciita, la dottrina su cui si fonda appunto la Repubblica islamica. Ma anche questo lo sanno in pochi. In una recente intervista con La Stampa rilasciata dopo l’attentato terroristico di Hamas  del 7 ottobre che ha causato 1.200 morti e il rapimento di 240 persone, Ibrahim Mohammad Al-Deilami, ministro plenipotenziario dell’ambasciata yemenita a Teheran, ha spiegato che sequestri di navi e lanci di missili sono la risposta del movimento «al brutale massacro che si sta consumando a Gaza e alla presenza illegale di potenze militari straniere nelle acque internazionali».
Lo Yemen sposa la causa palestinese e le «nostre Forze armate, come annunciato in diverse dichiarazioni e in attuazione delle direttive della leadership della Rivoluzione yemenita, mirano principalmente a fermare l’aggressione israelo-americana contro il popolo palestinese e porre fine all’ingiusto e brutale assedio che si sta svolgendo sotto gli occhi di un mondo fermo a guardare». Ma la novità, che ha il sapore di un vero e proprio cambio di passo sostanziale, come quelli che spesso la Storia del Medio Oriente propone, è sul nodo della guerra settaria. Secondo gli Houthi infatti le dispute tra sunniti e sciiti «sono alimentate dagli Stati Uniti e dal sionismo internazionale, e quindi il consenso islamico sulla questione palestinese aiuta a ridurre i benefici che quelle due entità traggono dalle differenze tra musulmani». Affermazione che delinea uno scenario regionale assai diverso rispetto a quello di un decennio fa.