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 2023  dicembre 20 Mercoledì calendario

Intervista a Vera Gemma

«Lei è del Corriere? Finalmente un giornale italiano che scrive di me. Pure Variety mi ha appena fatto un’intervista. In Italia, invece, nessuno mi fila».
Per la «Bibbia dei cinefili» Vera Gemma ha fatto un film «commovente ma mai sdolcinato sull’onere di nascere come una celebrità, figlia dell’iconica star degli Spaghetti Western Giuliano Gemma». Quel film, «Vera», ora, corre agli Oscar per l’Austria come miglior film straniero. Domani, nella notte tra il 20 e il 21, si saprà se è nei 15 che concorrono per la cinquina finale. Lei è appena tornata dalle proiezioni a Los Angeles per i membri dell’Academy: «Hanno riso tantissimo. Quanto ridono questi americani... Il problema è che ridevano pure nei momenti drammatici. Il film inizia leggero. La regista veniva da me dietro le quinte e mi diceva: stanno ridendo! E io: Evvai! Dopo un po’, preoccupata: Vera, stanno ridendo anche quando non c’è da ridere. Alla fine, applaudivano e gridavano Fellini, Fellini e realistic movie. E quando raccontavo che l’abbiamo girato in quattro, senza neanche la roulotte per gli attori, applaudivano come matti».
Com’è nato questo film sulla sua vita?
«I registi, intellettuali, snobbissimi, Tizza Covi e Rainer Frimmel, stavano girando un corto sul circo e sono capitati in quello in cui facevo la domatrice di tigri e leoni. All’inizio, mi hanno guardato prevenuti, forse per come ero vestita, eccessiva, truccatissima. Poi, Tizza ha iniziato a venire spesso a Roma per chiacchierare, era curiosa della mia vita, finché ha detto che voleva raccontare tutto di me: i fidanzati sbagliati, come ho finito i miei soldi, il mio non sentirmi all’altezza di mio padre».
Intanto, com’era finita a fare la domatrice?
«Nei circhi ci sono cresciuta, papà ha imparato lì a fare lo stunt man. Quando nel 2013 è morto, ho sentito il bisogno di ritrovarlo in un ambiente in cui lo amavano, ho iniziato a passare le giornate nei circhi, ho girato un documentario su quel mondo. Diventare domatrice è venuto naturale: entravo nelle gabbie per portare il cibo agli animali, che si sono abituati a me, mi hanno considerata capobranco. Ho fatto tournée in Russia, Ucraina, Bielorussia. Nel circo, ho trovato un mio modo di essere artista».
Da ragazza ha fatto teatro e cinema con Dario Argento, Paolo Virzì, Pupi Avati... Perché aveva smesso?
«Al cinema, erano stati piccoli ruoli e ho smesso quando ho capito che in Italia non mi avrebbero mai preso come protagonista: non sono abbastanza bella per fare la bella, non sono la bruttina che fa ridere; il mio viso fa pensare a cose estreme, ma da noi, non esistono protagoniste dai caratteri estremi. Al che, ho scritto libri, fatto il circo, la spogliarellista: ho rinunciato a essere attrice ma non artista».
Quando ha fatto la spogliarellista?
«Quando è morta mamma, ho ereditato e mi sono mangiata i soldi in pochissimo tempo e papà mi ha detto che non mi dava una lira. Decido di andare a Los Angeles, provo a propormi come cameriera, niente. A un certo punto, scopro un locale di strip tease, The Body Shop, con show di livelli altissimi. Vado dal direttore e chiedo come si fa a lavorare lì».
E come si faceva?
«C’erano le audizioni il giorno dopo. Compro un abito lungo fino ai piedi, per essere diversa dalle altre. Non avevo mai fatto strip però avevo studiato danza classica e moderna. Faccio il provino e mi prendono dalla sera stessa. Guadagno subito 1.200 euro. In un giorno, sono tornata al tenore di vita che avevo sempre avuto».
Non si sentiva una donna oggetto?
«Al contrario. Mai provato un tale senso di onnipotenza. La spogliarellista è un sogno da guardare e non toccare e gli americani sono pazzi: lanciavano mance da duecento dollari, gli togli soldi solo per guardarti ballare».
Suo padre sapeva del suo lavoro?
«Gli avevo raccontato che mi esibivo come ballerina di tip tap. I miei a me e mia sorella hanno fatto studiare di tutto, pure tip tap, non sapevano, poverini, che in Italia per fare successo non devi saper fare niente».
Quando nel film dice che a casa sua ingrassare era peggio che drogarsi è un’iperbole?
«Non ci hanno mai parlato di droghe, ma si sono raccomandati mille volte di non ingrassare. Erano ossessionati dalla bellezza. Volevano che fossimo all’altezza di papà. Forse, ci tenevano perché lui era diventato un divo attraverso la bellezza e solo dopo aveva dimostrato di essere bravo. Pensi che ci hanno fatto rifare il naso e non c’era bisogno. Però, sono stati comunque un esempio solido di amore per la vita, per cui ho provato tutte le droghe ma senza mai diventare dipendente. In effetti, da adolescente, ho fatto un macello».
Che macello?
«Mi rifugiavo nelle borgate pericolose, cercavo storie di vita estreme: avevo bisogno di verità assenti nel mondo perfetto dello spettacolo, non volevo essere complice di quella grande bugia. Poi, ho capito c’è gente vera nello spettacolo e finta nelle borgate e viceversa. Ora, nel film, la storia del fidanzato che mi addormenta per svaligiarmi casa è vera. A livello di uomini, ho cercato proprio fra i criminali, mi piacevano quelli usciti dal carcere, sentivo la loro rabbia, volevo aiutarli. La mia vita era un set meraviglioso, ma soffrivo anche, parlavo la stessa lingua di quei disperati».
Le capita ancora d’innamorarsi di criminali?
In famiglia
Erano tutti ossessionati dalla bellezza, volevano che fossimo all’altezza di papà. Mai avuto problemi con lui, ma con chi diceva: il padre è bello, lei brutta e coatta
«Ora sono più sveglia, il film racconta la fase in cui non ero ancora madre. Ma trovo ancora più affascinanti i delinquenti che i figli di papà».
Chi sono i suoi due ex mariti?
«Il primo è un campione di kung fu marocchino-parigino, bello come il sole. Mi sono sposata sull’onda di una passione non pensando di invecchiare con lui, non sono una che dà sacralità al matrimonio. Il secondo è il padre di mio figlio, bravissimo musicista blues e bravissimo papà, l’ho sposato a Las Vegas perché mi sembrava un modo giusto per restare in America».
Ha un ricordo particolarmente caro di suo padre?
«Mi diceva sempre che ero speciale. Ha fatto di tutto per darmi autostima. I problemi non li ho mai avuti con lui, ma con quelli che dicevano: il padre è bello, lei è brutta, è coatta. Ho subito paragoni crudeli e, da adolescente, ne ho sofferto. Oggi, mi piaccio, mi vedo bella, piaccio agli uomini, non ho capito perché sui social gli haters mi dicono: fai schifo, sei brutta. Sono sexy, eccessiva, quello sì. In Italia, la donna sexy che ostenta femminilità è considerata cretina o facile e culturalmente non valida. Invece, io adoro Proust, Baudelaire, Pasolini, ho una laurea, parlo tre lingue e voglio mettere il cappello da cowboy».
Il film Vera ha vinto al Festival di Venezia, nella sezione Orizzonti i premi miglior regia e miglior attrice. Il cinema ha ripreso a cercarla?
«Mi chiamano più dall’estero. Il regista austriaco David Wagner sta scrivendo per me un film western ambientato nel futuro. E c’è un progetto con un regista americano famoso».
Esiste la tomba del figlio di Goethe dove va con Asia Argento nel film?
«Certo, la regista ha voluto che quella scena la improvvisassimo. Asia la guarda la tomba e dice: questo manco ha diritto al nome. Siamo amiche da quando io ho 16 anni lei 12. Abbiamo sentito reale solidarietà nei confronti di quel ragazzo».
Come ha finito i soldi?
«Quando mamma è morta ho ereditato tanto, ero giovane, cresciuta in una villa con due campi da tennis, piscine, autista che ci portava a scuola. In certi anni, papà guadagnava dieci milioni di euro l’anno e io pensavo che i soldi non finissero mai. Poi col tempo, ho imparato a ridimensionarmi».
Come ha conosciuto Quentin Tarantino?
«Lessi sul Corriere della sera che aveva detto che senza Giuliano Gemma e Franco Nero, Hollywood non ci sarebbe. Dissi a un amico comune che volevo conoscerlo e preparargli la carbonara. Sono partita con il guanciale in valigia. Quentin mi ha detto: tu mi hai fatto capire come ho mangiato male fino a oggi. Poi, mi ha portata nel suo cinema privato, ha proiettato due film di papà e ognuno l’ha introdotto con un discorso. Li ha guardati tenendomi la mando per tutto il tempo. Sono uscita pensando che nella vita tutto è possibile. Lo penso anche oggi, in corsa per gli Oscar. Mi dico che, se hai il coraggio di essere te stessa, la tua onestà ti porterà da qualche parte».
Nel docufilm su Roma di Roberto D’Agostino e Marco Giusti racconta di essere stata in un locale per scambisti. Finzione o verità?
«Il Degrado era un posto unico per etero, gay, trans, drag queen... Si ballava e c’erano dark room per isolarsi. Mi portarono degli amici. Feci sesso con un ragazzo bellissimo e i miei amici si scandalizzarono. Però è storia di venti o trent’anni fa, quando non accettavo la fine della notte, che significava riprendere la vita normale».
Non è più, come direbbe Vasco, da «una vita spericolata»?
«Oggi sono madre, ma Vasco mi ha invitata a casa sua a Los Angeles, aveva visto un’intervista a Belve in cui raccontavo di essere stata arrestata a Las Vegas per aver spaccato un vaso e ferito il mio primo marito, e che ho provato tutte le droghe. Ci siamo molto capiti».
Quentin e Vasco l’hanno corteggiata?
«Si tratta d’altro: adorano la mia testa, mi dicono che sono favolosa, fantastica. Io sono criticata dai mediocri ma non ho mai problemi coi geni».
L’ultimo ricordo di suo padre?
«Prima di morire, era venuto da me a Los Angeles, dove Quentin aveva presentato il mio documentario su di lui. Papà era fiero di come mi fossi sistemata senza chiedergli aiuto. Si divertì, in aeroporto, mi disse grazie con gli occhi ludici. Ora, a Beverly Hills, in un cinema tappezzato con la mia faccia, ho pensato a lui e sono scoppiata a piangere. È arrivato un vecchietto dell’Academy, gli ho detto che piangevo perché avrei voluto che mio padre fosse lì, lui mi ha preso la mano, mi ha detto: tuo padre c’è».