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 2023  dicembre 20 Mercoledì calendario

Craxi, Berlusconi, Salvini. Quando il leader si candida per fare il pieno di voti


ROMA «Studiatevi i precedenti», diceva Giorgia Meloni in piena estate a tutti quelli che le chiedevano dell’intenzione o meno di candidarsi alle prossime Europee. Immancabile la risposta, sempre la stessa: «Giorgia, i precedenti recenti sono due: o fai come Berlusconi o fai come Renzi». Adesso sembra che la presidente del Consiglio in carica abbia scelto di fare come il Cavaliere; e quindi, da leader di partito e presidente del Consiglio in carica, di sottoporsi al bagno delle preferenze nella regina delle competizioni proporzionali, il paradiso terrestre del voto d’opinione, l’unica cosa che assomigli come impatto alle elezioni di midterm d’Oltreoceano. Renzi, nel 2014, aveva scelto di chiamarsi fuori, agevolando la corsa di un pokerissimo rosa (Alessia Mosca, Alessandra Moretti, Simona Bonafè, Pina Picierno e Caterina Chinnici) che nelle cinque circoscrizioni aveva contribuito allo sfondamento della soglia record del 40 percento. Berlusconi, da presidente del Consiglio, alle Europee c’era sempre stato, capolista ovunque; e a tutt’oggi è l’unico ad essersi aggiudicato un seggio per Bruxelles durante il mandato a Palazzo Chigi (nel 1989, Giulio Andreotti prese il posto di Ciriaco De Mita un mese dopo essere stato eletto alle Europee).
La tentazione del bagno di preferenze, soprattutto se «drogata» dalle candidature multiple, coinvolgerà più o meno tutti i leader, a cominciare da Meloni e Schlein. Tutti a caccia dei sei zeri, insomma, che nel 2019 fecero la fortuna e poi segnarono la caduta di Matteo Salvini, che proprio sulla base dei 2.6 milioni di voti personali ottenuti a maggio chiese ad agosto i famosi «pieni poteri» al Papeete. Andò a finire come tutti ricordano.
Nel 1984, la scelta di non raddoppiare l’impegno da presidente del Consiglio con una candidatura alle Europee seppe di scampato pericolo per Bettino Craxi, reduce dai fischi riservati dal congresso socialista a Enrico Berlinguer, che morì sei giorni prima della consultazione (con tanto di record per la storia comunista). Sarebbe stato un massacro, Craxi lo evitò d’istinto. Il leader socialista c’era, come tutti gli altri segretari di partito, alla prima tornata delle elezioni comunitarie, quelle del 1979, anche se candidature multiple non andavano di moda (Zaccagnini per la Dc era nel Nord-Ovest, Craxi anche, Berlinguer al centro).
La trovata di presentarsi ovunque, pilotando anche la scelta sul seggio per il quale optare e soprattutto sul secondo in lista da fare scattare, è di Marco Pannella. Siamo ancora nel 1979, il leader radicale si presenta in tutte le circoscrizioni, viene eletto in tre, opta per il Centro e manda in Europa sia Leonardo Sciascia (Sud) che Emma Bonino (Nord-Ovest). Verrà imitato, o quasi, da Craxi, che nel 1989 si presenta in tre circoscrizioni su cinque. L’avvento della Seconda repubblica spinge di nuovo tutti i segretari di partito verso le liste delle Europee. Nel 1994, pochi mesi dopo la vittoria alle Politiche, i vertici del centrodestra – Berlusconi, Fini, Bossi – sono presenti in tutte le circoscrizioni, Casini viene eletto con Forza Italia e scatta come secondo al Sud, al pari del presidente della Juve Giampiero Boniperti, secondo nel Nord-Ovest. Achille Occhetto, reduce dalla sconfitta dei progressisti, opta per tre circoscrizioni su cinque, lasciandosi seguire nello score da Enrico Montesano al Centro e da Corrado Augias al Sud.
Nel ’99 ci sono tutti. E tutti, tranne il segretario dei Ds Walter Veltroni, che correrà solo al Centro, scelgono la candidatura multipla: da Berlusconi a Bertinotti, da Fini a Bossi, fino alla sorpresa di quella tornata, Emma Bonino. Cinque anni dopo, l’onnipresente Berlusconi si misura con la lista Uniti nell’Ulivo, che tiene a casa i vertici nazionali dei partiti di provenienza (Fassino e Rutelli) e lancia nella mischia una doppia coppia formata da due politici in ascesa e due giornalisti già affermati: la prima coppia è formata da Pier Luigi Bersani ed Enrico Letta, la seconda da Lilli Gruber e Michele Santoro. Ebbero più ragione loro che il Cavaliere, che prima di tornare a vincere un’elezione dovette aspettare quattro anni.