la Repubblica, 20 dicembre 2023
Intervista a Antohony Hopkins
Sir Anthony Hopkins è l’incarnazione del cinema in tutta la sua potenza emotiva. La presenza dell’attore illumina One life,film sulla storia vera di Nicholas Winton, morto nel 2015 a 106 anni e reso famoso da un’impresa che aveva sempre taciuto e che fu svelata nel 1988 dallo show BBCThat’s Life :nel 1938 il broker londinese era riuscito a salvare 669 bambini, quasi tutti ebrei, facendoli fuggire da Praga prima che l’invasione tedesca chiudesse le frontiere. Otto treni consegnarono i bambini a delle famiglie britanniche, il nono fu assediato dai nazisti. Il film è in sala da domani, con Eagle. È emozionante anche l’intervista con l’attore britannico – due Oscar – che ha la saggezza e la libertà dei suoi 86 anni, una vita vissuta intensamente, con curiosità verso gli altri.
Quando scoprì la storia di Winton?
«Con That’s lifedi Esther Rantzen.
Due anni fa mi hanno offerto il ruolo. La sceneggiatura era bella, così semplice e diretta e il regista, James Hawes, straordinario. Ho detto sì, è stato un grande onore. Sono riluttante a prendermi il merito ditutto questo, perché Nicholas Winton è l’eroe della storia. Io sono solo l’attore che lo interpreta. Ma nella scena in studio in cui c’erano anche i veri sopravvissuti, mi sono profondamente commosso».
Perché questo film e questa storia sono importanti oggi?
«Perché tutti noi, come esseri umani, abbiamo da imparare qualcosa sulla compassione, capire il motivo per cui siamo sempre in guerra e viviamo nella dottrina dell’odio. A chi gli chiese se ci fosse un futuro per la razza umana Winton disse di no, “a meno che non facciamo un compromesso, impariamo a chiedere all’avversario ‘di cosa hai bisogno?’, invece di dire tu hai torto e io ragione”. Questo è il problema che abbiamo oggi. Viviamo nella cultura del nuovo fascismo, della cancel culture. Non c’è più libertà di parola.
Se dici qualcosa, sei cancellato. Le persone vivono nella paura. E questo richiama alla Germania nazista, ricorda l’Unione Sovietica e Stalin, il maccartismo americano. La dittatura del pensiero “giusto” è terribile».
Spera che il film parli ai giovani?
«Sì. Anche solo tre persone farebbero la differenza. Spero che il film diffonda, in un modo umile, un messaggio: se non ascoltiamo l’altro lato della storia siamo condannati per sempre».
Lei è nato nel 1937: che ricordo ha della guerra, dell’Olocausto?
«Ne ho uno molto chiaro. Alla fine della guerra i miei genitori mi portarono a Londra. La Germania era crollata, la guerra in Europa era finita, quella nel Pacifico infuriava ancora e Londra era piena di soldati americani. Mio padre ci portò a unamostra fotografica a Leicester Square, ma non mi fecero entrare. Io e mamma aspettammo fuori, papà uscì e ci disse: “Non ci credereste, ci sono esseri umani che sono scheletri ambulanti”. Erano fotografie e filmati del campo di Bergen-Belsen. Quando la gente ha scoperto gli orrori era confusa, sconcertata dal fatto che qualsiasi nazione avrebbe potuto farlo, non solo la Germania. Succede quando consideriamo gli altri solo numeri. Il comandante di Auschwitz nell’autobiografia dice “stavo solo obbedendo agli ordini”. Ti chiedi: quale uomo potrebbe fare una cosa del genere? Possiamo negarlo, ma siamo tutti capaci di questo orrore, ma anche di fare del bene».
Ha speranza rispetto al presente?
«Viviamo in una società, in un mondo, virtuosi. La virtù di essere nel giusto, di una ideologia, di aver messo al potere un certo governo. Le persone che si attengono a questo standard dicono: “Ti sbagli, io sono nel giusto”. Ebbene, quella virtù è l’assassino. Basta guardare agli orrori degli ultimi cento anni. Milioni di russi massacrati da Hitler, Mao Zedong e la strada verso la grande utopia, un bagno di sangue. E guardiamo a cosa stiamo facendo oggi. Ripetiamo gli orrori ancora e ancora. Non riusciremo mai ad andare oltre. Torno a Nicolas Winston: l’unica speranza per il futuro è il compromesso. John Kennedy nel 1962 scongiurò un olocausto nucleare: mettiamo via le armi, i giocattoli, le pistole, le bombe. Parliamo, scopriamo cosa vuole la Russia da noi. Cosa vuole la Cina da noi? Parliamo, anche se siamo ideologicamente diversi. Se non parliamo, siamo cenere».
Lei è seguito da milioni di persone sui social, regala poesia, allegria,speranza. Cosa la rende così forte?
«Il motivo è che ho subito la mia particolare forma di auto tortura molti anni fa. Come tutti i giovani, ero autodistruttivo, arrogante, feroce e pieno di pregiudizi. Non sapevo molto e pensavo di sapere tutto. Un giorno mi sono avvicinato alla morte e sono cambiato, all’improvviso ho dato valore alla mia vita. E nel corso degli ultimi 50 anni ho cercato di concentrarmi per valorizzare ogni momento della vita. Mi piace dire ai giovani: divertitevi. Le persone mi fanno domande serie sulla recitazione: no, non è importante. È solo un intrattenimento decente, ed è possibile che invii qualche messaggio. Vivere è importante, ridere, rispettare gli animali, i bambini, ogni forma di vita. Nessuno di noi sa cosa c’è oltre la vita, l’ateo come il religioso. Ma preferirei scommettere sull’idea spirituale che forse c’è qualcosa, oltre questa strana illusione che chiamiamo vita. Come Socrate, so di non sapere nulla e mi godo tutto. Se c’è qualcosa dopo questa vita sarà meraviglioso, se non lo è, così sia».