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 2023  dicembre 20 Mercoledì calendario

Intervista a Beppe Bergomi

Se a 18 anni sei il ritratto della maturità, a 40 fai la festa più movimentata della vita dopo un torneo di calcetto al gelo, a 60 rischi l’effetto cinepanettone con tutta la compilation di Vacanze di Natale. Ma se ti chiami Beppe, Zio, Bergomi vai a cena con gli amici che proprio questo compleanno ti ha aiutato a definire così.I 60 hanno portato bilanci?«No, mi hanno fatto diventare selettivo: ho ristretto il giro di persone che frequento e perso parecchie amicizie».È stato doloroso?«Anche no. Ho smesso di parlare con quelli che non capiscono il mio rapporto con il telefono. Lo spengo alle 14, 30, alleno e lo riaccendo alle 18. Non è detto che la sera stessa risponda ai messaggi ricevuti. C’era chi si offendeva. Basta».Ha tagliato tanti calciatori?«No, il calcio ti lascia rapporti sinceri. Ferri posso non sentirlo per settimane, poi ci si chiama ed è come aver smesso di parlare il minuto prima».Scusi, lei dosa il telefono però è in una serie di chat di ex. Quante per l’esattezza?«Tre: 1982, Notti Magiche, con i ragazzi dei mondiali italiani e Inter 97-98, quella di Simoni. C’è Ronaldo e risponde sempre».Manca lo scudetto nerazzurro dei record: 1988-89.«Lì è diverso, per le occasioni ufficiali ci riunisce Pellegrini e per il resto sono i compagni di vita. Beppe Baresi, un highlander è il mio partner a padel. Walter Zenga lo devo proprio sentire ogni tanto. L’ultima volta che l’ho incontrato gli ho detto: “Sei alto come me ormai”. E lui “Non riesco più a tener dritte le ginocchia”. Siamo degli irriducibili. Ma lì il telefono può trillare o no, stai sicuro che se ci sono situazioni in cui attivarsi subito lo si fa. Quando si fa sentire Klinsmann dagli Usa o Taribo West ovunque sia. Il compleanno di Castellini era in una serata di Champions e Simeone, con la partita a ridosso, si è fatto coinvolgere. Noi siamo veri».Perché tutti i 60enni e oltre si danno al padel?«È un campo dove possiamo essere ancora competitivi e gente come noi, che ha praticato l’agonismo tutta l’esistenza, non smette mai di esserlo».Nel 1982 come li vedeva i 60enni?«Vecchissimi, ma i 60 sono i nuovi 40, giusto? Magari no, è solo che ci sentiamo diversamente giovani».Lei, Maldini, Totti e Del Piero. I Fab Four, bandiere del calcio italiano?«Aggiungo Franco Baresi… gente che ha fatto scelte radicali. Qualcuno, di sicuro Totti, rinunciando a vincere più trofei altrove. Lui è Roma, legame unico: alla sua partita di addio ho pianto».Si aspettava di vedere la fine del matrimonio con Ilary Blasi diventare telenovela?«Non stupisce. Quell’uomo è una città, attira interesse e curiosità non domabili e più dettagli circolano più la gente ne vuole. Totti ha carisma. Franco in campo era essenziale, Maldini un leader tecnico, Del Piero inarrestabile. Gente con valori e personalità».Per questo gente che ha faticato a trovare un posto nella società di appartenenza? Baresi è nella dirigenza Milan però in un ruolo defilato.«Storie diverse: siamo ingombranti, ma non sta scritto da nessuna parte che una bandiera sappia gestire una squadra. Bisogna imparare, a qualcuno non è stata data la possibilità, Maldini si è preparato e poi non lo hanno voluto. Io mi sono preso i miei rischi in tv».Rischi?«Diversi colleghi si ritirano e fanno un passaggio in tv e non esprimono una opinione. Io mi sono esposto e infatti sto a Sky da 25 anni».Anche lì bandiera. Non ha mai avuto la tentazione di lasciare Sky?«Mi hanno cercato, se stai bene in un posto non ha senso muoversi. Non ne ho mai fatto una questione di soldi».Ha capito Mancini?«Fatico. Si intuiva che qualcosa non girasse perché era troppo accomodante, come lui non è. Mi immaginavo o che lasciasse dopo la mancata qualificazione ai Mondiali, non per responsabilità, per la chiusura di un ciclo oppure che fosse rimasto per il mordere dell’ambizione. Così non comprendo, anche se i suoi motivi li avrà».Lei avrebbe detto no ai soldi dell’Arabia Saudita?«Non è amorale dire sì. Vale eccome, personalmente mi chiedo: se già guadagni cifre più che importanti, raddoppiarle, triplicarle sposta? Non è polemica, solo un punto di vista».La polemica da telecronista che le ha dato più fastidio.«Sempre quando mi dicono che non sono abbastanza interista. Mi contestano pure per il contrario, ma quello non mi fa soffrire. Se guardo l’Inter da casa mi divoro, non riesco neanche a stare seduto. In telecronaca subentra la professionalità. È più facile con la nazionale, lì spingi e basta… fino al famoso “Andiamo a Berlino"».Quanto è cambiato il modo di raccontare il calcio?«Tanto quanto il calcio. Io credo di essere uno dei primi che ha dato ritmo».Il calcio si muove in fretta ma è nostalgico. Ora c’è questa idea di essersi persi i fantasisti, i numeri dieci. Verità?«Se mai ci siamo persi gli attaccanti. Abbiamo molti centrocampisti di talento, abbiamo imitato la Spagna, ci siamo fatti traviare dal falso nueve e ora non troviamo una punta di ruolo per la nazionale».Giochisti contro risultatisti. Opposizione reale o difetto di comunicazione?«Contrapposizione vera, solo che non c’è un giusto e uno sbagliato. Il giochista al massimo ruba l’occhio. Il mio amico Simeone si è preso del tempo per seguire Guardiola e mi ha detto: non fa per me. Lo stile con cui alleni te lo devi sentire».Mondiale 1982, la più grande soddisfazione. Mondiale 1990, il più grande rimpianto: quale sentimento le è rimasto dentro, a fondo?«Difficile... il gol preso contro l’Argentina ancora lo rivedo, qui, nella testa. Non so se sarebbe cambiato il risultato, eppure giocare a Roma sarebbe stato diverso. Non per il tifo, Napoli è stata splendida, ma in quelle notti romane c’era magia per davvero. Il bus per lo stadio andava a 20 all’ora per la folla, non c’era ricognizione, ma noi uscivamo fuori per respirare quell’aria. Che fitta. Però, no: 1982, sta nel profondo, mi ha pure ribattezzato». —