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 2023  dicembre 20 Mercoledì calendario

E se fosse la natura a spingerci verso la denatalità?


Dice Paolo Rumiz che per capire la realtà, o almeno orientarcisi dentro senza vagolare come sonnambuli, esercizio nel quale il Censis ci ha nominati, quest’anno, campioni olimpionici, sono più utili le visioni dei dati. Non sempre, non per forza: a volte. La denatalità è sulle pagine di tutti i giornali e nelle aperture dei tg con dati in caduta libera, un tragico ribasso, come ogni anno da decenni, nella speranza forse che aumenti l’allerta leggerli in questa parte dell’anno, quella che s’appresta a celebrare la nascita più antiscientifica, fantasy e sì, anche visionaria, della storia umana, quella di Gesù Bambino. Come ogni anno, torniamo a ricondurre le cause del calo demografico alla precarietà del lavoro e della vita, all’anzianità preminente e predominante (non si è allungata la vita: s’è allungata la vecchiaia), alle politiche per la famiglia strutturalmente deficitarie (perché volte, esclusivamente e malamente, alla natalità e mai alla genitorialità, come se i figli si dovessero soltanto far nascere e non, invece, anche e soprattutto allevare) e, talvolta, nei dibattiti più illuminati, al cambio culturale determinato dalla perdita di centralità del riprodursi nello spettro di cose che gli esseri umani (e soprattutto le donne) desiderano fare nella vita. Sappiamo tutto: sappiamo persino che, quando arrivano in Italia, anche i fertilissimi immigrati smettono di fare figli.Quello che ci manca, in questa eziologia ripetuta e ripetitiva, è un salto: una visione. Per esempio questa, che pongo in forma di domanda, così nessuno si scandalizza: e se non fare figli fosse, in questo momento, che è un minuscolo momento della storia umana e infinitesimalmente striminzito momento della storia della Terra, un adattamento evolutivo? Ieri, il dottor Luca Ramenghi, primario di Neonatologia al Gaslini di Genova, ha detto a questo giornale, in un’intervista di Franco Giubilei: «Non sono preoccupato, la natura ci vede sempre più a lungo di noi e il fatto che non aumentino le nascite su questo pianeta potrebbe non essere un fatto negativo».Che succede se alla denatalità guardiamo anche in questi termini (non proprio strampalati, visto che sono posti da un medico e non da un cartomante, da un neonatologo e non da un fisiatra)?Succede, per esempio, che la smettiamo di fare la guerra alla realtà ritenendo che il desiderio di fare figli sia un sentimento popolare nato da meccaniche divine, e che per ripristinarlo bastino assegni unici, opzioni donna, agevolazioni fiscali – «vogliamo stabilire il concetto che una donna che ha fatto più di due figli, ha già dato il suo contributo allo Stato», ha detto Giorgia Meloni due mesi fa, spiegando perché il suo governo punta moltissimo sulla detassazione del lavoro delle madri, anzi delle plurimadri). Succede che, anziché vedere in chi non fa figli un surreale prodotto del collasso sociale, o un individualista nichilista triste e incattivito, possiamo azzardarci a scorgere l’incarnazione di un messaggio della natura per noi: figlioli, per ora, riprodurvi è un’idea meno intelligente di quello che vi fanno credere, aspettate, decrescete felicemente. Il prodotto, in sostanza, di un adattamento che in questo momento ci obbliga ad accettare che il mondo non ha bisogno di figli (ne ha bisogno solo e soltanto il nostro sistema pensionistico). In un’intervista recente alla Stampa, la scrittrice e ginecologa Giuseppina Torregrossa ha detto che il corpo delle donne sta cambiando: le forme morbide si stanno irrigidendo, il seno è sempre meno abbondante, i fianchi si fanno stretti. Il corpo che ci è stato insegnato essere fatto per il parto, sta adattandosi al calo demografico, oppure, forse, sta succedendo il contrario. Volendo aggiungere una visione, magari, a transizione compiuta, faremo figli per ectogenesi, cioè fuori dall’utero, e potremo occuparcene molto meglio e di più, perché l’intelligenza artificiale ci renderà più liberi, persino più ricchi o almeno, semplicemente, più giusti.