Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2023  dicembre 20 Mercoledì calendario

Il gusto dei sudditi

Che abbiamo fatto noi romani per meritarci tutti ‘sti sindaci, uno peggio dell’altro – si chiedeva ieri una signora strizzata nella calca della metropolitana alle 7.30 di mattina. È una domanda da cui sono inseguito, ultimamente. In una recente chiacchierata con Italia Oggi mi era stata formulata così: non ci meriteremmo un governo migliore? E poco prima di incontrare la signora strizzata, l’avevo sentita a Radio radicale in un commento nientemeno che del Financial Times, a proposito del popolo israeliano meritevole ben altro premier che Bibi Netanyahu. Siamo gente adorabile, agguerrita sul principio costituzionale della sovranità che appartiene al popolo, ma pronta a spogliarsi della prerogativa se le cose vanno male. Non è nemmeno furbizia da mercanti, proprio ci crediamo alla nostra innocenza da cui discende un eterno vittimismo. E pochi l’hanno spiegato meglio di Alessandro Manzoni nella Storia della colonna infame. Einaudi ne ha appena pubblicata una nuova edizione in cui il curatore, Adriano Prosperi, segnala l’arrivo, intuito dall’autore, di un nuovo e possente protagonista, il popolo, «il quale crede che v’abbia degli uomini che tentano di avvelenarlo in massa». I processi e le esecuzioni degli untori sono dati in pasto alla voracità folle del popolo, che non ne risponderà mai. Allora, era il 1630, c’era la peste ma soprattutto non c’era la democrazia. E cioè i torturatori e i boia almeno non li aveva votati nessuno, mentre i sindaci di Roma, i governi italiani e il premier israeliano sì. Soltanto che il popolo è ancora vorace e continua a dirsi innocente e vittima, nel gusto di restare suddito.