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 2023  dicembre 19 Martedì calendario

Intervista a Claudio Cecchetto

Renato Franco
«Con il senno di poi ho capito che sono stato un talent scout anche nella scelta dei miei studi: prima perito termo-tecnico, poi Scienze delle preparazioni alimentari, ovvero i due grandi problemi dell’era moderna: il riscaldamento e il cibo». Incontri, successi, scommesse, scelte azzardate e azzeccate: quella di Claudio Cecchetto è una vita da film, anzi da docu-film: People from Cecchetto, domani su Rai1 alle 21.30, una produzione Lotus in collaborazione con Rai Documentari.
Suo padre prevedeva un destino lontano dal mondo dello spettacolo per lei.
«Prima mi chiese se volevo lavorare o studiare. Poi si rispose da solo: no, tu continui a studiare, ma quando nel 1975 sono entrato a Radio Milano International ho scoperto qual era il mio grande amore».
Andò a lavorare gratis: oggi molti non lo farebbero.
«Se una cosa ti interessa davvero falla anche gratis, è sempre un investimento. Sento gente dire: non ho avuto l’occasione. L’occasione c’è sempre, magari sei stato tu a non prenderla».
Mike Bongiorno le fece un provino e poi le disse che la ascoltava in radio tutti i giorni al mattino, ma lei andava in onda al pomeriggio.
«Feci finta di niente e lo ringraziai. Poi qualche anno dopo gli confidai la gaffe: mi rispose che però non aveva sbagliato a scegliermi».
Fece tre Festival di Sanremo di enorme successo, poi decise di lascare la Rai per fondare Radio Deejay. Una scelta inconsueta, se non folle.
«È la mia filosofia. Quando arrivi al top qual è il passo successivo? Cercare di mantenere la vetta, ma è una condizione che non mi piace. Per me la posizione ideale è il numero due: immaginate una corsa, il secondo corre guardando il primo, sempre rivolto in avanti; il numero uno invece si deve sempre girare indietro».
Cosa ricorda di quei successi?
«Con le dovute distanze, alla fine dell’ultimo Sanremo mi è sembrato di capire i fanatismi che c’erano stati intorno ai Beatles: persone che mi mettevano in braccio i figli, gente che mi infilava le sue fotografie nella tasca della giacca».
Aveva anche lei le groupie?
«Qualcuna, ma mica quelle pazzie che si vedevano negli anni Sessanta. Anche se una groupie l’ho sposata. Mia moglie Mapi Danna mi vedeva in televisione e diceva alla mamma: un giorno lo sposerò».
Nella sua vita da talent scout ne ha scoperti e lanciati tanti. Fiorello?
«Il più pigro. E meno male, perché se no sarebbe presidente del mondo dello spettacolo. Lui è così: si è confezionato un programma al mattino presto perché si sveglia con il buio e va a fare colazione. E ha deciso che poteva diventare una trasmissione».
Amadeus?
«Lo chiamavo la voce di piombo, con quel timbro pesante, bello, solido, che riempie tutte le frequenze, la risata che sprizza ottimismo. Il nome nasce dal pezzo di Falco, un singolo di grande successo. Era perfetto, c’era già la sigla del programma pronta».
A lui però non piaceva il nome, ma oggi le deve fare un monumento.
«Mi fa ridere che anche sua mamma ormai lo chiama Amadeus».
Ha cambiato il nome pure a Fabio Bonetti: Volo.
«Mi disse che era uno che leggeva molti libri e la cosa mi colpì subito: ero abituato a dj che leggevano poco. Sono contento del suo successo come scrittore, l’avevo quasi previsto, gli dissi che leggeva talmente tanti libri che un giorno avrebbe dovuto scriverli perché non ne avrebbe più avuti da leggere».
Cosa la colpì di Sabrina Salerno?
«Sento domande che hanno già la risposta... al di là dell’avvenenza, ho visto in lei tanta energia e grinta. A Canale 5 la mettevano sempre in bikini, a lei non piaceva e io ero d’accordo: meglio immaginare che sbattere in faccia, meglio una maglietta larga e bagnata».
Gerry Scotti?
«L’ho bloccato sulla scaletta di un aereo mentre stava partendo per l’America. Lo convinsi a rinunciare al lavoro da copy per la McCann, l’agenzia di pubblicità. Lui può fare qualsiasi cosa, sapevo che se avevo un problema lui era la soluzione: per questo Gerry è il presentatore immagine di Canale 5».
Jovanotti?
«All’epoca erano tutti poser, io invece sono sempre stato un casinista in discoteca: in lui mi sono riconosciuto, anzi ho rivisto me all’ennesima potenza».
Max Pezzali?
«Diciamo che la riconoscenza non è il suo forte».