Corriere della Sera, 19 dicembre 2023
Intervista a Marco Liorni
Ha tolto il posto a Pino Insegno che è amico di Giorgia Meloni. Di chi è amico lei?
Ride. «Di nessuno. E il mio game ce l’avevo: Reazione a Catena, da cinque anni».
Non conosce nemmeno un Fratoianni, un Bonelli, un Lupi, qualcuno di Casa Pound?
«Nemmeno. Però sono amico del presidente del club camminatori di Villa Pamphili».
Marco Liorni è il conduttore che grazie alla forza dei numeri ha battuto la forza della politica. Dopo aver puntato su Pino Insegno, la Rai ha fatto retromarcia: difficile non guardare a quei 4 milioni di spettatori (26% di share) che porta a casa ogni giorno. Ha cominciato come fonico, poi speaker in radio, quindi montatore, poi conduttore nelle tv locali fino al grande salto a Mediaset (inviato per Verissimo). Un momento di buio dopo il Grande Fratello, seguito da una lenta e inesorabile risalita.
Possibile che non abbia mai incrociato nessun politico?
«Finché farò il conduttore starò lontano dalla politica. Però sto per iniziare a studiare per un domani, mi piacerebbe andare al Parlamento Europeo».
In che senso?
«Il teatrino della politica nazionale non mi affascina, mentre a livello locale mi sembra che abbia più a che fare con l’amministrazione. Nel Parlamento Europeo vedo invece un’istituzione che detta la linea ai Paesi, pensa a una politica alta, di visione sul futuro».
Mai andato nemmeno alle serate mondane della grande bellezza romana?
«No, me le immagino decadenti, il film di Sorrentino mi è entrato nell’immaginario. Nella grande bellezza di Roma invece ogni tanto mi immergo, anche da solo, lì in via dei Fori Imperiali ci sono delle grandi mappe con l’espansione di Roma, ma finiscono nel punto di massimo splendore, poi... Ti dà proprio netto il senso della caducità di ogni gloria».
Ricapitolando: sembrava che Pino Insegno le dovesse fregare «Reazione a Catena», è finita che lei ha fregato a lui «L’Eredità». Quanto è soddisfatto della decisione della Rai?
«Non so se è andata proprio così e se qualcuno ha fregato qualcosa. Diciamo che stavo benissimo a Reazione a Catena, ma un giorno mi hanno proposto L’Eredità. Poi magari ci cambieranno di nuovo... Ma sono onorato per avere l’opportunità di un programma storico, condotto da grandi come Fabrizio Frizzi».
Come è TeleMeloni vista dal lato dell’intrattenimento?
«Ma perché la chiamate così? È la Rai, oh!».
Da ragazzo per chi votava?
«Cambiavo spesso: una volta ho votato Capanna, poi altri di vari colori perché in quel momento mi convincevano».
Dai 16 ai 18 anni ha fatto il bagnino in uno stabilimento vicino a Gaeta: era per rimorchiare?
«Era per comprarmi una Vespa e poi per fare il viaggione post-maturità con i miei amici. Ma ovvio che si rimorchiava, solo che ero strafidanzato e con un’accentuata inclinazione ai sensi di colpa trasmessami da quel sant’uomo del mio papà».
Che ricordi ha di quando faceva il traslocatore...
«Un secchio così!».
Cosa le hanno insegnato i suoi genitori?
«Mio padre era grandi slanci di gioia e anche grandi malinconie. Mia madre è più stabile e saggia. A me e mio fratello hanno dato l’esempio, ma poi quelle che rimangono più dentro sono le emotività».
È l’immagine dell’uomo pacato e perbene: mai stato scorretto con qualcuno?
«Ci starei male».
La cosa più trasgressiva che ha fatto?
«No no, queste sono cose mie».
Un torto subìto?
«È capitato e ci sono anche stato male, ma se mi guardo indietro certi torti hanno finito per portarmi bene».
Nemmeno un sassolino da togliersi?
«Per farmi capire potrei dire che i sassolini mi si sbriciolano molto in fretta camminando».
Il suo vizio segreto?
«Sono un grande mangiatore di olive».
Registra «Reazione a Catena» a Napoli e mangia in camera in albergo da solo. Altri colpi di testa?
Ride. «Cammino anche molto da solo, qualche volta viaggio anche da solo. La scorsa estate ho preso un aereo e sono andato a Oslo. Tre giorni in mezzo ai quadri di Munch e nella luce di quei crepuscoli interminabili della Norvegia».
Bagnino e traslocatore
Dai 16 ai 18 anni ho fatto il bagnino a Gaeta:
si rimorchiava,
ma ero strafidanzato
e incline ai sensi di colpa
Ho lavorato anche
come traslocatore
Sua moglie non si è preoccupata?
«No, anzi mi spingeva lei».
Non è un bel segnale...
Ride di nuovo: «In effetti no... Era un momento in cui avevo bisogno di stare da solo. Ma non c’era niente di misterioso: pure se volessi, ’ndo vado? Con mia moglie Giovanna abbiamo un rapporto molto franco».
Nessun segreto?
«Ci diciamo tutto, anche le cose che non ci piacciono l’uno dell’altro. Una pratica che può sembrare sconsigliabile ma che invece offre uno scambio che ti porta dove non pensavi. Da quando lo facciamo siamo molto più tranquilli, viviamo molto più in fiducia».
Che cosa le «rinfaccia» sua moglie?
«Il fatto che tendo ad andare in overload di pensieri: mi blocca subito».
Infatti lei ha detto di avere una «parte femminile molto accentuata: dovrei smettere di farmi tante domande». Vivrebbe meglio?
«Sì, quando pensi troppo vai fuori giri. Io durante il giorno sto su quello che faccio, sui discorsi che si fanno e sul lavoro. Ma qualche volta mi sveglio la notte e i pensieri diventano giganti da affrontare nel silenzio mentre tutti dormono. Però è migliorata da quando ci sono i podcast: li ascolto e viaggio con loro».
Il punto di svolta della carriera?
«Cristina Parodi in attesa della figlia. Si è dovuta assentare per qualche mese e nessuno voleva condurre Verissimo per così poco tempo. Era il ’97. Io l’anno prima ero l’inviato e così Giorgio Gori e Gregorio Paolini mi hanno scelto per la supplenza».
Il momento più difficile è facile...
«Dopo 7 anni di Grande Fratello. Niente tv per 4 anni».
L’incubo del telefono che non squilla: ha avuto paura di dover cambiare mestiere?
«Non solo paura, l’avevo proprio deciso, mi ero dato come deadline il dicembre 2011, dopo aver portato per tutto quel tempo i miei progetti di programmi a tutte le persone che conoscevo. Ma la risposta era sempre la stessa: mi vedevano come quello del Grande Fratello. Mi ero dato quel limite perché ormai era una situazione molto frustrante».
Aveva un Piano B?
«No, più che altro era una liberazione dalla frustrazione del Piano A: avrei smesso di fare tv e avrei continuato solo con la radio. Poi a novembre arrivò l’occasione di un numero zero per la Rai, Perfetti innamorati».
La critica che l’ha ferita di più?
«Quelli che tentano di ferirti non si rendono conto che stanno in realtà definendo loro stessi. Una volta però una critica mi ha ferito, perché veniva da qualcuno che stimo molto e che ha scritto quella critica vedendo appena cinque minuti di programma».
Di solito i romani insistono sulla loro romanità, ma lei non sembra romano, nemmeno nella cadenza: è una scelta?
«Non scherziamo. Non prenderò mai le distanze da una città che ancora sa toglierti il fiato per la bellezza che sa darti, specie la domenica mattina, la mezza giornata in cui Roma è la città più bella del mondo».
Aria da eterno bravo ragazzo, meno due dai 60 anni. Sembra inscalfibile, non parla mai male di nessuno, è in odore di santità: non è che il Piano B era il prete?
Ride. «No, no assolutamente. Se devo dire le cose le dico, ma non in pubblico. Questo è un ambiente in cui si parla male di tutti e la mia regola generale è di non farlo. Penso che se tutti si comportassero così, sarebbe un pezzettino in più per un mondo migliore».
Proviamo lo stesso: mi dica una cosa cattiva sulle donne con cui ha lavorato, Cristina Parodi, Mara Venier e Alessia Marcuzzi.
«Mai. Ricordo solo i bei momenti passati insieme».
Ma esiste l’amicizia nel mondo della tv?
«Mi sento amico di Antonella Clerici, di Amadeus, della stessa Cristina (Parodi), anche di Tiberio Timperi».
L’ultima volta che ha urlato?
«Non me lo ricordo. Mi arrabbio raramente. Le persone che hanno sofferto, che se la sono vista brutta, dicono tutte la stessa cosa: “da allora non mi arrabbio più per cose che non lo meritano”. Se tutti la pensano così, forse sarà vero».
L’ultima volta che ha pianto?
«Nello studio di Reazione a Catena per l’ultima puntata. Non c’era nessuno, tutti via: tecnici, pubblico, squadre, autori. Le luci spente, solo neon accesi e qualche carta per terra. Mi è passato davanti un pezzo di vita, sono stati cinque anni intensi. Ho pianto come una fontana, è stato liberatorio».
Non sogna la prima serata?
«Certo. Mi è capitato di fare programmi piccolissimi, magari su Rai Premium, oppure programmi importanti e prime serate da 16 milioni ai tempi del Grande Fratello, oppure ItaliaSì!, che seguo da cima a fondo... mi sono reso conto che alla fine, qualunque sia la dimensione nella quale ti trovi, la cosa da fare è sempre la stessa: cogliere l’anima di quel programma e dare il meglio di te per esaltarla».
Sincero: con certi numeri non le si è nemmeno mai gonfiato l’ego?
«No guardi, c’ho l’ego bucato».