Corriere della Sera, 19 dicembre 2023
Il tramonto dei Greyhound. L’America on the road è (ormai) solo per i poveri
I tre quarti dei viaggiatori sono cittadini a basso reddito
Simbolo, per tutto il Novecento, dell’America on the road, gli autobus della Greyhound stanno lentamente scomparendo dalle città americane. E con essi si diradano i servizi di altre compagnie private, come Trailways, che hanno garantito per decenni servizi di trasporto capillari e a buon mercato in un Paese con una rete ferroviaria limitata, invecchiata e costosa.
La sagoma del levriero di Greyhound l’abbiamo vista tante volte in un gran numero di film di Hollywood, da Colazione da Tiffany a Un uomo da marciapiede. Certo, ormai gli americani usano sempre più spesso l’aereo per spostarsi, ma i voli non sono a buon mercato e non raggiungono i piccoli centri. Le aviolinee, generosamente sussidiate durante la pandemia, hanno, però, sofferto meno dei gestori del trasporto su gomma: i piccoli, senza iniezioni di denaro pubblico, sono falliti durante la crisi del coronavirus. Greyhound per un po’ ha beneficiato della minore concorrenza: ma è un mercato sempre più povero.
Il deperimento del trasporto sulle strade d’America è un’altra delle facce occulte dell’aumento delle diseguaglianze, con dati che sfuggono alle statistiche economiche: i bus trasportano il doppio dei passeggeri delle linee ferroviarie Amtrak e i tre quarti di questi 60 milioni di viaggiatori sono americani a basso reddito (sotto i 40 mila dollari l’anno): soprattutto minoranze etniche, anziani impoveriti o con la paura di volare, giovani squattrinati e disabili. Le statistiche dicono che quando una linea viene soppressa, il 60 per cento dei suoi passeggeri rinuncia a viaggiare.
Cosa sta succedendo? Senza sussidi il business è divenuto sempre meno redditizio, soprattutto per gli alti costi di una fitta rete di terminal urbani per i bus, spesso costruiti quasi un secolo fa e bisognosi di radicali restauri.
Greyhound, ora di proprietà europea (la tedesca Flixbus gestisce i servizi, mentre il patrimonio immobiliare fa capo a una finanziaria britannica) si è resa conto non solo di non essere in grado di sostenere i costi di rifacimento dei terminal, ma anche di poter guadagnare molto di più vendendo quelle bus station, spesso in zone centrali o semicentrali delle città, a società immobiliari che le ricostruiranno come edifici commerciali o residenziali. Il più attivo è stato il fondo Alden Global Capital, noto per aver comprato anni fa alcuni giornali come il Chicago Tribune e il Daily News di New York per poi ridimensionarli drasticamente o chiuderli e vendere i loro immobili. L’anno scorso ha rilevato ben 33 terminal della Greyhound: non hanno più la stazione dei bus città come Houston, Filadelfia, Cincinnati, Louisville e Portland in Oregon. Imminente la vendita anche dei terminal di Chicago e Dallas.
In alcuni casi i collegamenti sono stati cancellati, in altri la base di partenza è stata spostata fuori città (a Cincinnati la stazione ora è una roulotte in un parcheggio suburbano). In altri casi, ancora, si è passati al servizio curbside, seguendo il modello dei Chinatown bus: pullman che entrano in città e raccolgono i passeggeri su un marciapiede. I quali, durante l’attesa non hanno un tetto per ripararsi dalla pioggia o dalla canicola, né servizi igienici o di ristorazione. Bus che, fermandosi in centro, spesso creano ingorghi e sono costretti a spostarsi. Così chi non segue i messaggi momento per momento sullo smartphone, rimane a terra.
Malinconica agonia di un servizio nato più di un secolo fa: la Greyhound fu fondata nel 1914 in Minnesota. Spente le luci delle stazioni dei bus che in molte cittadine americane, dagli anni Trenta in poi, sono state luoghi sempre attivi, l’unico aperto 24 ore al giorno.