il Fatto Quotidiano, 18 dicembre 2023
Il problema del turismo
Doveva essere l’ennesimo anno record del turismo, dopo la lunga scia di crescita quasi ininterrotta che dagli anni 60 è arrivata fino al 2019. Sarà ricordato invece come l’anno della grande illusione: il turismo nel 2023 non solo non ha raggiunto i numeri del 2019 – né come presenze, né per spesa -, ma vede anche aumentare il gap tra l’Italia e gli storici “competitor” europei, Francia e Spagna, e diminuire quello con gli inseguitori, con Paesi più piccoli che iniziano ad affacciarsi sul mercato in modo importante: a partire da quell’Albania di cui tanto s’è parlato quest’estate. Ma ripartiamo dall’inizio.
Fino a giugno quasi tutti gli osservatori e gli operatori avevano usato toni entusiastici: “Tutti i dati ci confermano che il 2023 non solo sarà l’anno del recupero per il settore turistico, ma sarà l’anno del sorpasso rispetto al 2019 che era stato l’anno dei record” diceva ad aprile la presidente di Federturismo Marina Lalli, insieme a tanti altri colleghi, istituti di ricerca e allo stesso ministero del Turismo, che ancora a luglio vedeva un “trend positivo che non può che consolidarsi e crescere nel tempo”.
Era un abbaglio, che peraltro ha portato molti ad alzare i prezzi per l’estate, sperando in un’ondata che non è arrivata: i dati della prima metà dell’anno, ormai è chiaro, raccontavano altro. Li ha diffusi il Touring Club Italiano, e sono ancora parziali, ma analizzati mese per mese già dicono molto. A gennaio sì è registrato un +49% su gennaio 2022, +31% a febbraio sullo stesso mese 2022, +20% a marzo, +14% ad aprile, +12% a maggio. E poi un -1% a giugno, -13% a luglio – il momento in cui il settore, di colpo, s’è accorto che tutte le stime fatte in precedenza non potevano reggere più. Poi +2% ad agosto (sul 2022, ma comunque sotto il 2019). Il tutto trainato dagli stranieri, mentre il turismo domestico segna numeri peggiori. L’autunno invece, ottobre e novembre, ha segnato numeri migliori del 2019, ma per la stagione invernale Demoskopika prevede un calo degli arrivi: -6,1% (-10,4% per gli italiani) e una contrazione della spesa turistica del 7,8%, 1,3 miliardi in meno. Peraltro la neve che scarseggia fa aumentare i costi per mantenere in piedi la filiera invernale: il ministero lo scorso luglio ha dovuto stanziare 200 milioni per il turismo montano.
Anche qualora le previsioni fossero smentite, è chiaro, i numeri “record” del 2019 resteranno lontani – a livello nazionale -, con un calo sull’anno del 5-6%. Questo il quadro generale: ci sono eccezioni, le grandi città, trainate dal turismo straniero e in particolare Usa, non hanno visto contraccolpi (Milano, ad esempio, continua a crescere). Gli italiani, però, viaggiano e spendono meno.
Cos’era successo, da gennaio a maggio? Si potrebbe ironizzare sul lancio il 20 aprile della campagna del ministero con protagonista la Venere influencer ma – imbarazzo e 9 milioni spesi a parte – i motivi dell’abbaglio sono altri. C’era un gran numero di viaggi “ripianificati”, cioè rinviati negli anni precedenti, in particolare dagli Usa, ma soprattutto un sempre più evidente cambio delle abitudini dei viaggiatori, in cui si può scorgere anche il ruolo del cambiamento climatico: i mesi primaverili e autunnali sono molto più attrattivi di qualche anno fa, i ponti di aprile e novembre continuano a segnare record e il sistema non era pronto (solo a ottobre, in molte Regioni, sono arrivati i fondi per l’apertura autunnale degli stabilimenti in concessione).
I numeri italiani, però, assumono un sapore diverso, forse preoccupante, ampliando lo sguardo a livello globale. I dati consolidati dell’agenzia Onu Unwto, disponibili per il periodo gennaio-settembre, parlano di un turismo globale ancora del 13% sotto ai livelli del 2019: male l’Asia orientale, -38%; l’Europa (il principale mercato globale) ha recuperato molto di più e si ferma al -6%, meglio dell’America (-12%) e dell’Africa (-8%). Cresce invece, e molto, il Medioriente, +20% sul record del 2019, con il Qatar (che ha ospitato i mondiali di calcio 2022) che ha raddoppiato i suoi numeri annui e l’Arabia Saudita che vola al +50%. Cresce anche il Nord Africa, +5% sul 2019, col Marocco che arriva al +10%. E paradossalmente cresce dell’1% anche l’Europa Mediterranea, dove si trova il nostro Paese: ma è un dato dovuto soprattutto al +49% dell’Albania. Poi ci sono, come dicevamo, Francia e Spagna: da anni stabilmente davanti all’Italia come numeri turistici (eravamo il primo paese al mondo fino agli anni 70) quest’anno riescono quasi a pareggiare il risultato del 2019 (-1% nei primi nove mesi dell’anno) mentre l’Italia a fine settembre si assestava a un -6%.
Cosa significano questi trend? È presto per dirlo: l’esplosione di conflitti, ad esempio quello israelo-palestinese, taglia fuori interi mercati rapidamente e certo non aiuta la ripresa globale. Ma per l’Italia appare chiaro che le formule utilizzate fino a pochi anni fa non funzionano più come dovrebbero e che la speranza che dopo la pandemia tutto sarebbe ripartito come prima era almeno in parte infondata. Appare rischiosa la scommessa di puntare sul turismo del lusso (“Dobbiamo spiegare che la qualità si paga” diceva il ministro Francesco Lollobrigida ad agosto parlando del calo di visitatori in Puglia) o su quello a basso costo, entrambi facilmente replicabili altrove: come la Puglia, anche la Croazia ha visto una contrazione con l’aumento dei prezzi, ma la Francia, che costa ben di più e offre altro, regge.
Stretto tra la necessità di narrare successi e quella di analizzare la realtà dei dati, anche il ministero del Turismo ormai da agosto, pur snocciolando numeri (alti, come sempre per l’Italia), ha riconosciuto una necessità di cambiare e destagionalizzare: “Il turismo non può vivere di un mese o di due mesi all’anno” ha ribadito al forum di Baveno a fine novembre la ministra Daniela Santanché. Troppo tardi, vedremo l’anno prossimo.