il Fatto Quotidiano, 18 dicembre 2023
Una questione di nomi
Ogni persona, ogni animale, ogni cosa ha un suo nome; a questo serve il linguaggio, a indicare quello di cui stiamo parlando, sia esso, appunto, un oggetto, un animale, o una persona. Il mondo si divide in due grandi categorie: quelli che si ricordano i nomi e quelli che non se li ricordano. Categorie seguite da altre sotto categorie, quelli che si ricordano i nomi delle cose e non delle persone, e viceversa. E allora è tutto un fiorire di cose e cosi: “Ti ricordi coso?” – “Coso chi?” – “Cosoo… quello che ha detto quella cosa” – “Ma quale cosa?” – “La cosa… tu però non ricordi niente!” Allora per semplificarsi la vita quelli che non si ricordano i nomi delle persone, cedono all’abitudine, più che altro un vizio, di abbreviare i loro nomi, rovinandoli. Per esempio: Alessandro che è stato un nome di Papi, condottieri, re, imperatori, molto spesso diventa Ale, oppure, peggio ancora Alex. Ma perché dico io? Che ci vuole a fare un piccolo sforzo e adoperare il nome intero? Alessandro. Certo se uno si chiama Vercingetorige è difficile chiamarlo col suo nome, il diminutivo è d’obbligo. Puoi spaziare da Vercy a Geto, o addirittura a Rige, come quello di Beautiful. Ma uno che si chiama Domenico perché lo devi umiliare, riducendolo a Mimmo o a Mimì? Io per esempio mi chiamo Benedicta, si d’accordo c’è quel “cta” che viene dal latino, per chi non ha finito le medie è un po’ uno scoglio, ma Benedicta non è impossibile da pronunciare! Invece tutti mi chiamano Benny, non che mi dispiaccia, però, detto tra noi, sembra il nome di un coniglio. Questo è niente rispetto a quelli che si scordano non solo i nomi, ma anche le facce degli amici e dei parenti stretti. Il massimo è stato giorni fa, quando una mia amica ha incontrato al supermercato sua madre, e l’ha chiamata zia. La mamma si è allontanata senza neanche voltarsi. L’ho vista piangere in silenzio.