La Stampa, 18 dicembre 2023
La parabola di Francesco finto innovatore
Non c’è dubbio che per papa Francesco il più bel regalo di compleanno sia stata la sentenza che condanna il cardinale Becciu. Tre anni fa l’aveva dichiarato colpevole in base alle accuse di un settimanale, togliendogli le cariche che aveva e le prerogative cardinalizie, sicché per Bergoglio sarebbe stato veramente grave se il lungo e tormentato processo che ne è seguito si fosse concluso con un’assoluzione. In realtà il rischio c’era, ed era forte, perché Becciu è stato condannato per colpe sulle quali a giudizio di quasi tutti gli osservatori presenti alle lunghe sedute processuali, il dibattimento ha gettato molti dubbi decisivi: e questo nonostante il papa stesso sia intervenuto ben quattro volte durante il processo a cambiarne le regole per renderle più utilizzabili a danno dell’imputato. Tutti sanno che in uno stato di diritto cambiamenti di questo tipo non sono ammissibili a procedimenti già in corso, ma in Vaticano il papa re ha sempre ragione e lo stato di diritto è evidentemente una merce sconosciuta.
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Quanto appare diverso, oggi, Jorge Mario Bergoglio dal pontefice eletto dieci anni fa: quando per la prima volta saliva al soglio di Pietro un gesuita, proveniente da un continente non europeo, l’America latina. Egli si presentò inizialmente quasi come un modesto prete di città, che non riusciva ad abituarsi al lusso del Vaticano, all’isolamento dal mondo comune a cui lo destinava l’altissima carica. Scelse di abitare in un albergo, di muoversi con un’auto modesta, di viaggiare portando a mano in una vecchia borsa il suo bagaglio di carte varie. Tutte scelte che stupirono e in generale piacquero molto, tranne che in Vaticano dove non mancarono di creare molte complicazioni cerimoniali nonché molti problemi relativi alla sicurezza del pontefice. Così cominciò subito la sua contrapposizione al mondo curiale, che Bergoglio stesso ha provveduto ad esacerbare con atti di riforma confusi e spesso contraddittori. In sostanza un papa che in pubblico parla tanto di spirito sinodale all’interno del suo piccolo Stato ha avviato pratiche di comando da papa re, ignorando gli organi tradizionali che avrebbero dovuto condividere le sue scelte – in primis la Segreteria di stato – per sostituirli con persone scelte personalmente, spesso al di fuori delle gerarchie ecclesiastiche e spesso dopo un breve lasso di tempo licenziate.
Ma l’effetto di questo modo autocratico di governare si è visto solo con il passare del tempo.
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Nei primi anni una serie di interventi imprevisti e felici – come la partenza per Pantelleria subito dopo il naufragio costato la vita a tanti migranti – gli hanno assicurato la simpatia del pubblico e disposto gli animi a molte speranze. Un papa con il cuore in mano, intenzionato a riformare la chiesa, ad aprirla ai nuovi tempi e a rimediare a molti errori del passato: questa è stata nei primi anni l’immagine pubblica di Bergoglio. Costruita anche con molte abili interviste, con presenze televisive in programmi di successo non necessariamente religiosi, con un susseguirsi di libri di facile lettura.
La sua enciclica più nuova e importante è stata senza dubbio la Laudato sì, in cui il Papa ha abbracciato il progetto della lotta ambientalista, accettandone in modo un po’ acritico le tesi, ma operando una innovazione importante. Francesco infatti ha messo davanti agli occhi di tutto il mondo una realtà nascosta: cioè che a pagare i costi dell’inquinamento non erano i paesi ricchi, dove si alzavano le voci di allarme, ma i poveri che tacevano perché non avevano la forza e i mezzi per ribellarsi. Questa è stata senza dubbio la sua stagione più felice. Anche se già allora emerse quella che è diventata poi la consueta reazione ai suoi interventi: Francesco piace di più ai non credenti che ai cattolici, non credenti che peraltro non per questo sembrano minimamente attratti dalla religione cattolica. Perlomeno in Europa le chiese infatti si svuotano sempre più in fretta, e la Chiesa assume sempre più l’aspetto di una istituzione alla deriva.
Certo, si tratta di una crisi in cui di sicuro c’entra non poco lo scandalo degli abusi sessuali su minori e su religiose emersi in numero sempre crescente. Rispetto a questo problema, Bergoglio ha scelto una strategia si direbbe a lui familiare: a parole condanne durissime, nella realtà appoggio sostanziale e perfino dichiarazioni di solidarietà quando gli abusatori sono suoi amici. Proprio come succede con le donne: solenni dichiarazioni sulla loro importanza nella vita della Chiesa, sulla necessità di aprire loro ruoli importanti, ma poi nella pratica assegnazione ad esse di cariche non troppo influenti, e le designate scelte sempre per la loro obbedienza. Mai ha pensato neppure lontanamente, ad esempio, di aprirsi all’ascolto delle associazioni di religiose combattive e piene di idee che potrebbero dare un vero contributo alla Chiesa. Con le donne Bergoglio ha spesso anche applicato un metodo usato per altri temi: proclamare come aperture innovative fondamentali trasformazioni che in realtà sono già in atto da anni, come ad esempio la nomina delle donne al lettorato. La stessa cosa è accaduta anche a proposito della possibilità di battezzare i trans: quando mai infatti un cristiano ha rifiutato il battesimo a una persona che voleva cambiare vita accettando la morale cattolica? Ancora: ha proclamato che bisogna dare la comunione alle ragazze madri: ma mi chiedo, chi mai gliela aveva tolta? Il fatto è che la crescente ignoranza della tradizione religiosa da un lato e una stampa molto compiacente dall’altro, gli permettono abitualmente di celebrare ognuna delle dichiarazioni suddette come altrettante aperture innovative.
In politica estera, infine, dove si è impegnato molto spesso, ha avuto successo, direi, solo la felice definizione del Papa di “terza guerra mondiale a pezzi”, mentre i suoi tentativi di mediazione hanno rivelato la sua difficoltà a nutrite prospettive diverse da quella tipiche di un argentino imbevuto di pregiudizi antiamericani.
In realtà Francesco è stato molto abile ad evitare temi che suscitano polemiche, come quelli relativi alla bioetica, sui quali infatti si è pronunciato assai raramente e sempre in modo rigorosamente tradizionale. Solo la sua consolidata immagine pubblica di innovatore ha fatto sì che i media lasciassero ogni volta cadere nell’ombra queste affermazioni, così come è avvenuto per esempio per quelle contro l’aborto.
Dopo quasi undici anni, insomma, i nodi di un pontificato spesso contraddittorio, che ha liquidato una tradizione curiale che pure qualche merito forse lo aveva se la Chiesa esiste da duemila anni, stanno venendo tutti al pettine. E purtroppo rendono più difficili questi anni a un uomo ormai anziano e ammalato, al quale comunque non si può che augurare di riuscire a non lasciare troppi problemi aperti al suo successore.