Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2023  dicembre 18 Lunedì calendario

Beffardo Francesco che meno fa il Papa più lo diventa


Meno fa il Papa e più diventa Papa. E negandosi sin d’ora alla sepoltura dei Papi, Francesco si conferma Papa come mai era stato.
Farà infatti preparare la sua tomba nella basilica di Santa Maria Maggiore e non a San Pietro, fuggirà da morto dal Vaticano dove in vita si sente prigioniero. In null’altro si somigliano Francesco e Benedetto XVI se non nella voglia di maltrattare il soglio pontificio, dimostrando al mondo, non sembri un paradosso, d’essere stato, ciascuno nel proprio momento, l’uomo più adatto ad occuparlo. E Francesco, ancora più di Benedetto, sfida la gerarchia perché le dimissioni salvaguardano l’Istituzione mentre il disprezzo la condanna. Benedetto se ne andò per ridare vita alla Chiesa di Dio, come i capi spirituali indoeuropei, i Lama che abbandonano la guida delle anime per il romitaggio in attesa di reincarnarsi: larenovatio come rivoluzione, come revolvere, tornare indietro per aiutare la circolarità del cosmo o la linearità di Dio e trovarsi in qualsiasi momento dell’esistenza al centro dell’universo. E invece Francesco vuole beffare l’Istituzione, sottrarsi ad essa ma senza sottomettersi, come l’individuo schiacciato alla specie, vuole sfidarla divertendosi persino a strapazzarne i simboli, lo sfarzo e il protocollo, i riti. Dorme a Santa Marta, non calza le babbucce di raso rosso, non indossa il camauro e la mozzetta, ha abolito il baciamano, accoglie gli omosessuali, manda sei donne laiche nel Consiglio dell’economia, legittima il matrimonio dei sacerdoti ma si spaventa e “intanto” lo rinvia. E manda il suo famoso elemosiniere, il “Robin Hood del Papa”, il cardinale Krajewski, a manomettere i contatori pubblici per dare la luce elettrica ai poveri. Benedice gli squatter e reiventa la Carità, offrendo ai detenuti di Regina Coeli non brodo di pollo ma quindicimila gelati, perché “el gelato revolusionario” di Cocco Bill benedice quella natura trasgressiva del quinto dei sette peccati capitali, la gola, che sta nascosta nella famosa frase di Voltaire: «Il gelato è squisito. Che peccato che non sia illegale». Insomma, bisogna peccare per credere. E, ancora, il Papa sfratta i cardinali dai lussuosi appartamenti, gli toglie i sussidi e i vitalizi, li manda a processo, e persino in prigione, cannoneggia il sinodo ingombrandolo di sé senza sgombrarlo con dimissioni liberatorie. Lo scrittore Guido Morselli raccontò nel romanzoDivertimento 1889 che Umberto I spesso si mescolava alla gente perché non ne poteva più dei cortigiani contro i quali, del resto, Francesco Giuseppe fingeva di essere sordo. E Federico II andava a piedi mettendo al posto suo, a cavallo, il palafreniere. Ai generali e ai politici che gli consigliavano di organizzare “in nome del Vangelo” una crociata in Africa contro Temim, sultano zirito, Ruggero rispose emettendo una rumorosa flatulenza: «Eccovi in cambio un consiglio assai migliore».