il Fatto Quotidiano, 17 dicembre 2023
Intervista a Carlo Castellano
“Quando le Brigate Rosse mi spararono alle gambe, l’Unità titolò ‘Il nuovo fascismo ha colpito il compagno Castellano’. Le idee, insomma, non erano chiarissime”. Carlo Castellano, ferito gravemente a Genova nel novembre 1977, fu il primo iscritto al Pci colpito dal terrorismo rosso: “Ero un comunista un po’ singolare – racconta – oltre ad essere iscritto al partito, ero anche vicedirettore generale dell’Ansaldo, un colosso da 15 mila dipendenti. Per le Br era inaccettabile…”.
Castellano, oggi 87enne, alla notizia della morte di Toni Negri ricorda quando, era il 1983, all’indomani della candidatura con il partito Radicale del professore padovano, scrisse al segretario Enrico Berlinguer per manifestare le proprie perplessità “sulla posizione che il Partito ha scelto in questa occasione”.
Professor Castellano, cosa non le piacque?
Dopo la notizia della candidatura del professor Negri al Parlamento a sinistra si aprì un confronto su quale atteggiamento prendere. Il Psi era favorevole, il Pci scelse di non essere né favorevole né contrario. Io ero nel Comitato centrale e non condivisi, il partito doveva riflettere sul proprio album di famiglia, come disse Rossana Rossanda. In quella lettera esprimevo apprezzamento per le battaglie contro lo scandalo degli abusi della carcerazione preventiva e per la revisione di certe norme emergenziali assurdamente punitive, ma esprimevo il disagio per “il legame che si è venuto a creare tra queste giuste esigenze di ordine generale e il caso individuale di Toni Negri”. Eppure, sei anni dopo quel titolo de l’Unità dopo il mio ferimento, si faceva ancora un’enorme difficoltà a riconoscere lo stato delle cose.
E oltre alla riflessione, cosa avrebbe voluto che accadesse?
Dovevamo aprire un confronto duro nel Paese sulla stagione della lotta armata e sulle sue cause. E soprattutto distinguere tra cattivi maestri, a cui io iscrivo a tutti gli effetti il professor Negri, e quella parte non insignificante di giovani che avevano accettato o addirittura partecipato alla lotta armata. Anche quelle sono state vittime.
La risposta di Berlinguer fu cordiale, ma nulla più…
Esatto: “Caro Castellano – scrive –. Non mi pare necessario, ora, ritornare sui pro e sui contro di quella posizione alla quale, come sai, si è pervenuti con una travagliata dialettica nelle Direzione e nel gruppo. Tutto (o quasi) è stato già detto sopra una questione così opinabile”. In poche righe c’è tutto il centralismo democratico di cui Berlinguer – a cui mi legava un profondo affetto – era la perfetta espressione. Il partito ha deciso così, non si discute. Era il marxismo leninismo.
Secondo lei, questo scambio epistolare del 1983, ha qualcosa da dirci ancora oggi?
Il mondo è cambiato totalmente. Tuttavia la lotta armata (di cui Negri fu apologeta) era una perfetta scorciatoia. Ecco, il problema di evitare le scorciatoie e di accettare la complessità vale oggi come allora. Ed è anche un problema politico, perché a sinistra, la questione del senso di un partito autenticamente riformista non è ancora risolta. E glielo dice uno che dal Pci è uscito nel 1988, senza aspettare la caduta del Muro di Berlino.