Corriere della Sera, 17 dicembre 2023
Il pandoro della Ferragni
Mi candido a un’intervista che, temo, non leggerete mai. A Chiara Ferragni, infatti, vorrei chiedere (senza girarci intorno, da un cremasco a una cremonese): se una persona ha influenza e la usa per beneficienza, non è meglio che metta da parte gli affari? Quello che è accaduto, forse, lo sapete. L’Antitrust ha multato, per più di un milione, le società Fenice e Tbs Crew, riconducibili a Chiara Ferragni; per 420 mila euro l’azienda dolciaria piemontese Balocco. I consumatori sarebbero stati indotti a credere che, acquistando il pandoro Pink Christmas griffato Ferragni – a 9 euro, invece di 3,70 – avrebbero aiutato l’Ospedale Regina Margherita di Torino. La donazione (50 mila euro) però era già stata fatta dalla sola Balocco, mesi prima del lancio. Le società legate all’influencer hanno incassato dall’iniziativa oltre un milione di euro.
L’interessata, venerdì, si è difesa (su Instagram, where else): «Mi dispiace che dopo tutto l’impegno mio e della mia famiglia in questi anni sul fronte dell’attività benefica ci si ostini a vedere del negativo in un’operazione in cui tutto è stato fatto in buona fede». La buona fede non si esclude, ci mancherebbe. Ma resta un fatto: la beneficienza era collegata a una operazione commerciale. Balocco aveva già deciso l’importo della donazione, indipendentemente dalle vendite; Chiara Ferragni non ha donato nulla. Le sue società, in compenso, hanno portato a casa oltre un milione di euro.
L’ho scritto a proposito della posizione fiscale di Jannik Sinner, splendido campione che adora l’Italia, ma paga le imposte a Montecarlo, e pochissimi osano criticare. Siamo succubi della celebrità, e non va bene. Questa sudditanza – gli esempi abbondano – è umiliante e pericolosa: per noi, per la società, per le celebrità in questione. La sensazione di potersi concedere tutto porta guai.
Ecco, di questo vorrei ragionare con Chiara Ferragni, donna intelligente. A metà del nebraska lombardo che separa Cremona da Crema – stalle, nebbia, campi, pioppi sulle rive – c’è San Bassano, dove mio zio Cesare è stato farmacista per quarant’anni. Se vuole, Chiara, possiamo trovarci lì. Così mi spiega due cose, perché davvero non capisco.