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 2023  dicembre 17 Domenica calendario

Cinque anni e mezzo a Becciu


CITTÀ DEL VATICANO Ventinove mesi di processo, ottantasei udienze, il confronto tra le parti «per cercare di avvicinarsi alla verità senza aggettivi», diceva ieri il presidente del Tribunale vaticano, Giuseppe Pignatone, come a tagliar corto sulle polemiche prima che la Camera di Consiglio si riunisse per un giudizio destinato alla storia. Quattro ore e mezzo più tardi, tra volti tesi e in un silenzio sospeso, è lui a leggere la prima sentenza di condanna a un cardinale mai emessa in Vaticano da giudici laici: per Angelo Becciu la pena è di cinque anni e sei mesi di reclusione per due peculati e una truffa aggravata, più l’interdizione perpetua dai pubblici uffici e ottomila euro di multa. Nulla rispetto agli oltre duecento milioni di risarcimento danni cui vengono condannati gli imputati «in solido tra loro».
Ci saranno i ricorsi in appello, a cominciare da Becciu, per il quale l’accusa aveva chiesto sette anni e tre mesi. Ma intanto finisce così il processo sulla vicenda emersa nel 2019 con le perquisizioni dei gendarmi vaticani nella Segreteria di Stato, cosa mai vista. Dai tempi dell’Ambrosiano, gli scandali finanziari vaticani non sono una novità. Però, notava papa Francesco, «se da fuori è successo tante volte, è la prima volta che in Vaticano la pentola viene scoperchiata da dentro».
Il 24 settembre 2020, Bergoglio aveva imposto a Becciu la rinuncia ai «diritti e prerogative del cardinalato». Poi ha modificato la legge che impediva a laici di giudicare un cardinale: lo ha reso possibile «previo assenso del Sommo Pontefice», e ha dato il via libera. Il processo ha avuto al centro la compravendita disastrosa del palazzo londinese di Sloane Avenue e in generale gli investimenti della Segreteria di Stato quando Becciu ne era Sostituto, dal 2011 al 2018, con il potere di disporre dei fondi riservati, compreso il denaro dell’Obolo di San Pietro donato dai fedeli per i poveri. Becciu è stato condannato anzitutto per un peculato relativo all’operazione di Londra e all’«uso illecito» di 200 milioni e 500 mila dollari Usa, «circa un terzo delle disponibilità all’epoca della Segreteria di Stato». La somma era stata versata tra il 2013 e il 2014, su disposizione del Sostituto, per la sottoscrizione di quote di un fondo del finanziere Raffaele Mincione «con caratteristiche altamente speculative che comportavano per l’investitore un forte rischio sul capitale senza possibilità alcuna di controllo». L’altro peculato riguarda il finanziamento alla coop del fratello, «per aver disposto in due riprese, su un conto intestato alla Caritas-Diocesi di Ozieri», il versamento di 125 mila euro alla cooperativa Spes, presieduta da Antonino Becciu». Infine, la truffa aggravata, in concorso con Cecilia Marogna: il versamento di 570 mila euro alla donna, amica del cardinale e accreditata come esperta di intelligence senza averne titolo, soldi che in teoria dovevano servire per il tentativo di liberare una suora colombiana sequestrata in Mali, una «motivazione non corrispondente al vero» perché finirono in spese personali e soggiorni in resort di lusso. Il cardinale è stato assolto da altre accuse di peculato, abuso d’ufficio e di «subornazione» di testimone. Tra i condannati, il consulente Enrico Crasso (7 anni), i broker Raffaele Mincione (5 anni e mezzo) e Gianluigi Torzi (6 anni), il funzionario Fabrizio Tirabassi (7 anni e mezzo), Cecilia Marogna (3 anni e 9 mesi), l’avvocato Nicola Squillace (un anno e 10 mesi, pena sospesa). Bruelhart e Di Ruzza, ex vertici dell’Aif, hanno avuto solo pene pecuniarie. Assolto Mauro Carlino, ex segretario di Becciu.
Maxi risarcimento
Gli imputati in solido
dovranno risarcire
oltre duecento
milioni di euro
Il risarcimento andrà alle parti civili: la Segreteria di Stato, difesa per la prima volta da tre donne, Paola Severino, Elisa Scaroina e Daniela Sticchi; l’Apsa, lo Ior e l’ Asif. L’accusa aveva chiesto 73 anni e un mese in tutto, ne ha ottenuti 37 e un mese. «L’impostazione ha tenuto e questa è la cosa più importante», commenta il promotore di Giustizia vaticano Alessandro Diddi: «Un pm non può essere mai felice per le condanne. Sono soddisfatto che un lavoro meticoloso abbia retto alle contestazioni. Il risultato ci dà ragione, sono sereno».
Nel frattempo, la riforma di Francesco ha accentrato la gestione dei soldi: niente più fondi autonomi nei dicasteri.