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 2023  dicembre 16 Sabato calendario

Intorno ai libri ruota un mondo


Non si finisce di scoprire cose e fatti quasi sempre ignoti ai più nelle pagine di questo libro un po’ disordinato ma interessantissimo di Alberto Manguel (Una storia della lettura, Vita e Pensiero Editrice, pp. 376, e 25): dove beninteso si tratta non della lettura su uno schermo, quella che oggi sta bruciando il cervello delle giovani generazioni, bensì della lettura della pagina scritta, l’unica che serve a sviluppare la rete neurologica intellettuale-verbale: cioè l’essenza della nostra natura umana. Di quanto ruota da millenni intorno al mondo dei libri qui non manca proprio nulla: dall’invenzione degli occhiali all’introduzione delle illustrazioni con relativi stratagemmi per aggirare il divieto religioso di disegnare figure umane, dal costo proibitivo dei libri prima dell’invenzione della stampa all’universo grandioso delle biblioteche e dei mille metodi di catalogazione dei testi scritti, all’invenzione delle lettere maiuscole e della punteggiatura (dove curiosamente però non si ricorda il ruolo che ebbe in proposito un certo Pietro Bembo).
Che idea audace quella di pubblicare, nella marea di libri sul fascismo e sull’antifascismo, quasi tutti inutili, inutilissimi, un mattone di 1.066 pagine come questo di Attilio Tamaro, Diario di un italiano 1911-1949 (Rubbettino, pp. 1.072, e 49), curato da Gianni Scipione Rossi che vi ha apposto anche un’assai lunga, informatissima e necessaria introduzione. Triestino di origini istriane, irredentista poi fascista ma più che altro «mussolinista» perché in realtà rimasto sempre un nazionalista monarchico, poi diplomatico, contrario all’antisemitismo ed espulso dal Pnf, Tamaro ebbe modo per un ventennio di conoscere da vicino, spesso dall’interno delle istituzioni, uomini e cose del regime. Il suo è il punto di vista di un’Italia conservatrice e intelligente che, pur riconoscendosi nel fascismo, sa distinguere bene nel frastagliato arcipelago mussoliniano non rinunciando certo alla propria libertà di giudizio. Non comuni, e perciò di grande interesse anche nella loro accesa e accorata parzialità, le pagine sull’occupazione anglo-americana di Roma.
Anziché un anodino Le strutture del potere (Laterza, pp. 208, e 15) bisognava intitolarla «Per una storia dell’élite nell’Italia repubblicana» l’intervista di Alessandra Sardoni a Sabino Cassese. Perché di questo in realtà si tratta. L’informatissima giornalista accompagna il suo sapientissimo interlocutore in una carrellata su persone, problemi e retroscena di mezzo secolo e passa di vita pubblica politica, economica e amministrativa che lo hanno sempre visto presente là dove si decideva: consigliere, amico e maestro di chi decideva o lui direttamente a farlo impegnato in incarichi di prestigio di numero sterminato. Una carriera strepitosa, competenze eccelse, una rete di relazioni impareggiabile a cominciare da quelle allacciate nella piccola Atene pisana della Normale. Persino comunista in gioventù, giusto per capire di che cosa si trattava ma poi democratico di sinistra e oggi nemico acerrimo della satrapia giudiziaria. Insomma da leggere assolutamente per capire che cosa dovrebbe essere una classe dirigente: con una decina di Sabino Cassese saremmo un altro Paese.