Domenicale, 10 dicembre 2015
I tegami d’argento della Latteria San Marco
Che tristezza in quell’angolo di piazza San Marco di Milano, dove non ci sarà più la coda. Lì, alla Latteria, non si prenota, non conta chi sei: stilista, archistar, modella, imprenditore, gente del design, critici gastronomici o con chi sei: mangi, paghi e fuori dalle balle. Il rifiuto all’apertura domenicale per Madonna è l’ultimo segnale di “diversità” di questo locale, rispetto agli stellari, sempre alla ricerca del cliente noto, da sbattere in prima pagina.
Fin dal 1967, Arturo Maggi (e la moglie Maria) hanno dato vita a qualcosa di inimitabile, in quel piccolo salotto d’antan Kitsch, ricco di rose nei quadri e quadretti e di riproduzioni (di firme famose) dei loro volti; alle pareti piastrelline bianche e disegnate, tipiche dove, un tempo, si vendeva latte e stracchino.
Chi per anni ha frequentato quei pochi tavoli, porta con sé il ricordo di un ambiente che profuma di casa, di sensazioni strane, fatte di incontri e di racconti, di giapponesi spaesati, troppo a lungo a tavola, di francesi critici sul vino, di americani indecisi sulla scelta, di papà divorziati con i figli, di coppie scoppiate, di amori e nuove amicizie in costruzione.
In piedi ad aspettare, fuori al freddo o al caldo, fino a quando, Marco (il figlio) come un oracolo non urla che il tavolo si è liberato, ma quel tavolo spesso viene condiviso da una presenza imprevista; così, negli anni, ho potuto scambiare con il noto regista Roberto Faenza, i miei ricordi sul suo vecchio film, o i miei studi di scienza politica con Giorgio Galli, i miei consigli sulle pentole di argento con Nicoletta Braschi, moglie di Roberto Benigni, di carni pregiate con i noto chirurgo, Franco Gaboardi, allevatore di wagyu, di calcio con Stefano Tirelli e Thomas Villa.
La Latteria che, a discapito del nome ereditato, ha imposto uno stile di cucina, forse impossibile da replicare per la personalità di Arturo: cuoco, alchimista, inventore di formule magiche per curare le piante, agricoltore nel week end per coltivare frutta, verdura, secondo i principi steineriani, sempre disponibile a suggerire rimedi naturali “da lui stesso messi a punto” per la salute.
Di certo, a prima vista, il locale potrebbe far pensare a: giovedì gnocchi, venerdì pesce, sabato trippa, in realtà Arturo segue, a suo modo, una sequenza settimanale dei cibi, che portano beneficio al sangue, all’intestino alla stitichezza ecc.. Materie prime, che -secondo Arturo-devono essere sempre fermentate nel terreno, tramite il letame, altrimenti corrodono, bruciano e infiammano.
Cibi che vengono cucinati anche nelle padelle d’argento, divenute poi fenomeno modaiolo, fabbricate da due argentieri milanesi, Dabbene e San Lorenzo, su intuizione di Arturo, perché l’argento offre cotture migliori rispetto alle altre leghe: solfura meno ed è uno straordinario conduttore, così che il calore si trasmette in modo uniforme.
Tra i must della Latteria ci sono appunto le uova nel tegamino d’argento, con spolverata di bottarga di muggine e, sempre cucinati in argento, le ricette con storione, tonno, totani e il politologo fegato di vitello alla veneta.
Cucina di latteria d’antan. Tutt’altro. Può apparire un paradosso ma nella Latteria di San Marco, i piatti sono frutto di una cucina semplice, ma creativa perché si distaccano dalla tradizione. Arturo prende un ingrediente e lo porta in tavola con il sapore che molti hanno dimenticato: il gusto originario, depurato dalle acidità del sale.
La ricetta viene cucinata in modo chirurgico, con gli ingredienti giusti, rispettati per giungere all’essenza, senza una ricerca spasmodica della forma, che caratterizza, orma la ristorazione tutta.
Si fa presto a dare l’etichetta di «creativo» a molti chef, cuochi e cucinieri che scambiano il sugo con il ripieno di una pasta o che riportano nel menu una proposta di tanti ingredienti esotici aggiunti, ma altro non è che la fotocopia di ricette storiche.
Questo cuciniere alchimista, dall’occhio che brilla di follia intelligente, ha dato vita invece a molti piatti veramente originali, a cominciare da quello spaghetto limone e peperoncino, semplice di certo, ma anche originale. Il peperoncino però non è quello rosso, ma verde; la scorza di limone è marinata con il succo, due spicchi di aglio danno brio in bocca.
Una ricetta che ha conquistato Sam Kass, chef dell’allora presidente degli Stati Uniti, Barack Obama (più volte commensale ai tavoli della Latteria), che ha inserita nel menu della Casa Bianca, assieme anche ad altri piatti della Latteria. Un particolare che ha fatto sì che il direttore del «New York Times», incuriosito, volasse a Milano, a sua volta, e pranzare alla Latteria.
Le ricette che hanno segnato questo locale, snobbato da guide e critici, seguaci di mode e di menu recitati, sono davvero tante, fatte ruotare ogni giorno, a cominciare dal riso freddo al pomodoro, ricetta che larga parte dei clienti abituali, ha cercato di riproporre, ma dopo vani tentativi casalinghi non riusciti, ha abbandonato la sfida (Arturo nasconde qualche segreto).
Così è successo anche per le altre specialità della casa, come la crudaiola, minestra di verdure tritate a crudo; le polpette al limone, cucinate con il reale, carne vera e non ritagli; il calamaro ripieno di magro al forno; le acciughe al tegamino e soprattutto le salsine (di cui sono segreti gli ingredienti), servite con la carne cruda tritata e con le zucchine trombetta.
Le verdure stagionali sono sempre protagoniste del menu, spesso cucinate in maniera sorprendente, mentre tra i dessert innanzitutto le torte, preparate da una nobile pasticciera o da Maria, come la gustosa cremina toscana, il purèe di mela, uvetta e pinoli, lo strudel, il tortino di arance amare.
Il vino per molti clienti è stato spesso la nota dolente perché anche sui rossi e i bianchi, il patron ha sempre avuto una sua posizione “filosofica”: sono buoni solo quelli contadini del piacentino.
Così la casa offre solo un bianco e un rosso, ma Marco permette di portare una bottiglia di casa, stappata di nascosto, che Arturo rifiuta di assaggiare, mentre invita a sorseggiare un cucchiaio di aceto al giorno, perché possiede innumerevoli proprietà derivate da due fermentazioni: la prima per diventare vino, la seconda per diventare aceto («il vino che non va in aceto è un cattivo alimento»). Così è se mi piace!Chiuderà il 22 dicembre 2023