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 2015  dicembre 10 Giovedì calendario

Muretti a secco

Il lavoro della terra, sia giardino o campagna, inizia con la coltivazione del suolo. Karel ?apek elenca le preliminari azioni: «vangare, zappettare, rivoltare, sotterrare, smuovere, livellare, lisciare, ondulare». Ne L’anno del giardiniere aggiunge con crescente ironia «letame, concime, guano, terriccio di foglie, erba decomposta, calce, sali di potassio, farina di Thomas, farina per bambini, nitrati, residui cornei, fosfati, sterco, escrementi, ceneri, torba, composta, acqua, birra, svuotamento delle pipe, fiammiferi bruciati, gatti morti e molte altre sostanze». Nulla gli sfugge se non la prima e fondamentale operazione: quella di spietrare allontanando le pietre di grandi dimensioni. Non è necessario in tutti i suoli perché se ne è già occupata preventivamente la storia geologica e pedologica frantumando la crosta terrestre in miliardi di anni di eruzioni, deposizioni, emersioni con il concorso di agenti fisici, chimici e organici.
Dove non è avvenuto e la pedogenesi non ha disgregato la roccia madre fino a formare un terreno compatibile all’approfondimento delle radici, al lavoro delle zappe, all’operatività delle macchine le pietre vanno allontanate e, allora, che farne? Fin dall’inizio dell’agricoltura sono state considerate utili a creare recinti, costruire dimore, trattenere e proteggere il suolo. Recente è lo svolgimento in Sardegna del convegno internazionale “Architetture di pietra – Strutture megalitiche e monumentali in Sardegna e nel Mediterraneo in epoca preistorica e protostorica”. Una pietra sull’altra, se necessario sagomata con sapienza, senza l’aiuto di leganti i muretti disegnano numerosi paesaggi. L’Unesco, nel 2018, ha iscritto l’Arte dei muretti a secco di otto Paesi europei – Cipro, Croazia, Francia, Grecia, Italia, Slovenia, Spagna e Svizzera – nel Patrimonio culturale immateriale. Nel Registro nazionale dei Paesaggi storici, in Italia, ne annoveriamo diversi e tra i più celebri e spettacolari quelli delle Cinque Terre, di Vallecorsa e di Pantelleria. Una pietra in equilibrio sull’altra, tratta dalla più grezza materia inorganica, sagomata se necessario con mazze, scalpelli e picconi. I muretti sono utili a separare l’interno dall’esterno, il selvatico dal coltivato, definiscono il possesso privato eppure rimangono permeabili ai flussi viventi della biodiversità, allo scorrere dell’acqua e dell’energia e, attraverso inevitabili fessure, agli sguardi. Da sempre sono inesauribili fornitori di erbe commestibili (in proposito, Muro, io ti mangio! di Carlo Bava, Alessia Zucchi, Maria Cristina Pasquali, Ed. Gabarè Linaria, 2022).
I muretti a secco sono l’oggetto di un nuovo libro di Vittorino Andreoli, psichiatra dalle mille curiosità intellettuali che con fotografie (risultato di 13 estati nelle Highlands scozzesi, ma anche di escursioni mediterranee come rivela la presenza di alberi di olivo), si sofferma nel presentarle come «ricchezza della semplicità». Muretti come luoghi di scambio e non di separazione, così diversi dai muri che escludono e aggrediscono. Studioso del comportamento umano, ricava dalla natura minerale permeata di aria e di acqua, dalla eleganza di una architettura essenziale l’insegnamento che «ogni sasso mantiene una propria individualità, è legato ma allo stesso tempo ha una configurazione singolare, e nei casi in cui il muretto cada, torna sé stesso nell’ammasso degli altri sassi. C’è, in questo, la configurazione di un rapporto e persino di un rapporto sociale: in una comunità ci sono gli individui, ognuno dei quali ha però caratteristiche proprie che però devono convivere con quelle degli altri, e in qualche modo si giustappongono». Osserva che ciò che vale per le pietre vale per gli uomini: la felicità è individuale e riguarda l’io, mentre la gioia il gaudium, è diffusiva, passa dall’uno all’altro, dipende anche dagli altri.
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Vittorino Andreoli
Muretti a secco. La ricchezza della semplicità
Edizioni LOW, pagg. 144, € 22