Domenicale, 15 dicembre 2023
Storia del piroscafo Principessa Mafalda
così si inabissò il piroscafo regaleIl «Principessa Mafalda». Il transatlantico intitolato alla secondogenita di Vittorio Emanuele III nel racconto di Stefan Ineichen: lussuoso e moderno, affondò nel 1927 con 320 persone a bordoFrancesco Maria ColomboLa principessa Mafalda nacque a Roma nel 1902, secondogenita di Vittorio Emanuele III e di Elena del Montenegro. «La nascita di un altra principessa, anziché di un principe ereditario, costituisce una grande delusione per l’opinione pubblica», commentò il «New York Times». In una ineffabile cartolina pubblicitaria di qualche anno dopo la troviamo, serissima sotto una frangetta a scodella, intenta a affondare il cucchiaio, insieme con la sorella maggiore Jolanda e aggiuntosi il fratellino Umberto, nella delizia del momento: «Le Ll. Aa. Rr. a mensa gusta no la pastina glutinata Buitoni». Chissà se venne locupletata come testimonial.
Il «Principessa Mafalda» nacque invece a Riva Trigoso, presso Sestri Levante, nel 1908. Varato con apprensione dopo che il gemello, il «Principessa Jolanda», era colato a picco non appena in mare l’anno precedente, venne salutato come il transatlantico più bello, più lussuoso e più moderno non solo della flotta italiana, ma di tutte le navi d’Europa. Nessun altro poteva vantare saloni così eleganti, arredati in stile Louis XVI grazie al celebre Studio Ducrot di Palermo, e nessun altro poteva compiere il tragitto da Genova a Buenos Aires in soli sedici giorni, superando la velocità di 18 nodi orari.
Mentre la principessa Mafalda cresceva e imparava tante cose, la scherma, le lingue straniere nelle quali sarà versatissima, una serie di strumenti musicali che arriverà a padroneggiare, il Principessa Mafalda faceva su e giù con l’America Latina, e ad ogni viaggio il nido di memorie si stipava di volti, gesti, situazioni, avventure. Pochi microcosmi riproducono la complessità del macrocosmo, la sua organizzazione sociale, il basso e il sublime, con l’esattezza strutturale di un grande piroscafo: la vita che si svolge a bordo è un teatro dove si replicano, in scala ridotta, tutte le meccaniche della vita reale.
Uno scrittore svizzero, l’ecologo Stefan Ineichen ha studiato in profondità le storie rappresentate sul simbolico palcoscenico del Principessa Mafalda, investigando pure i retroscena, i misteri celati dalle quinte teatrali, il brusio delle coulisse. L’esito è un volume, pubblicato a Zurigo nel 2022 e tradotto ora in italiano, che appassionerà chi si interessi alla storia del Novecento, ma che per gli amanti dei petits faits, categoria numerosa ancorché vergognosa di sé stessa e dei propri sibaritici diletti, risulterà una vera delizia.
Sul transatlantico, che provvedeva al diporto dei ricchi e ai miraggi di migliaia di migranti in Argentina, i protagonisti erano di diverse specie. Guglielmo Marconi fu forse il più illustre: grazie a lui si giocò, nel maggio 1910, la storica partita a scacchi tra due squadre, una sul Mafalda, l’altra su un altro piroscafo a vapore, il König Friedrich August collegate via radiogramma; e dal ponte del Principessa Mafalda fu lui a lanciare a 6.000 piedi l’aquilone cellulare dotato di un’antenna ricevente, che permise la trasmissione di segnali radio a oltre 10.000 chilometri di distanza. Quanto ai petits faits basti citare il racconto della moglie Beatrice, che svela come l’inventore, laddove fosse in viaggio per mare, solesse gettare dall’oblò camicie e calze indossate una volta sola, per non doversi occupare della biancheria.
Un’altra storia affascinante, su diverso registro, è quella di padre Giovanni Genocchi, inviato nel 1911 da papa Pio X come missionario in Sud America. Il sacerdote rivelò un coraggio incredibile nel testimoniare e nell’avversare gli orrendi crimini che le compagnie internazionali del caucciù perpetravano ai danni degli indigeni (sterminio di popolazioni autoctone, deportazione, tortura): più volte scampato ad agguati mortali, padre Genocchi fu decisivo nella presa di coscienza, da parte dell’Occidente, dei misfatti (narrati indimenticabilmente da Mario Vargas Llosa nel Sogno del celta e ispirò l’enciclica Lacrimabili statu, condanna violentissima da parte del pontefice).
La Grande Guerra fu il punto di svolta nella ventura del Principessa Mafalda: tenuto alla fonda nel porto di Taranto, un lento processo di usura ne segnò il destino. Vennero realizzate notevoli migliorie nella terza classe, dove si poté finalmente mangiare su piatti di latta distribuiti alla mensa. Venne affidata agli alberghi genovesi Savoia e Bristol Palace la ristorazione per i ricchi. Ma era sotto, nelle spelonche oscure delle sale macchina, che il funzionamento perfetto degli ingranaggi, sospesa per quattro anni la regolare manutenzione, non poteva più essere garantito. Continuarono a mettervisi in viaggio aristocratici e anarchici, tangueri ed attori (Italia Almirante interpretò un film girato a bordo, purtroppo perduto), artisti e scrittori da Pirandello a Gadda: e quest’ultimo ne riferì («il Mafalda vettore di migrabondi destini») nelle Meraviglie d’Italia (però, Herr Ineichen, dire che Gadda «faticava a redigere testi ben ordinati» è qualcosa che molti di noi leggeranno con un certo raccapriccio). Ma al direttore d’orchestra Weingartner e al “conte rosso” Harry Graf Kessler, che vi si imbarcò a Genova nel 1926, l’eleganza parve sciupata da un velo di usura.
Molte furono le negligenze, e dunque le responsabilità, che determinarono la tragica fine del transatlantico, colato a picco il 25 ottobre 1927 a 80 miglia dalla costa brasiliana. Morirono oltre 320 persone. Da troppo tempo si erano registrati guasti, difetti, imprevisti in realtà ben prevedibili, e a nessuno conveniva investire su un piroscafo prossimo a tirare le cuoia.
La descrizione vivacissima delle ore finali da parte di Ineichen fa da contrappunto alle cronache, tra mitografia e censura della stampa fascista dell’epoca, che invocava il fato avverso ed esaltava il comandante Simone Gulì, indomito sul ponte ad affrontare la morte gridando, nell’ora estrema, «Viva l’Italia» come sempre si fa in questi casi.
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Stefan Ineichen
Il Principessa Mafalda
Bollati Boringhieri,
pagg. 256, € 27