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 2023  dicembre 15 Venerdì calendario

Storia dell’Afghanistan

afghanistan, ombre (cinesi) sui conflittiGeopolitica delle risorse. Thomas Barfield analizza la storia di un Paese giovane, tra i più sottosviluppati al mondo, tra guerre e appetibili risorse minerarieAdriana CastagnoliIn questa affascinante storia dell’Afghanistan l’antropologo Thomas Barfield racconta di una modernizzazione tenacemente osteggiata, di fratture insanabili fra città e zone rurali, di resistenza tribale contro uno Stato centrale mai compiutamente realizzato ma considerato una minaccia per le “libertà” patriarcali basate sul diritto consuetudinario. Narra della dignità e del senso di identità culturale del popolo afghano, della sua perseveranza fra la diffusa corruzione, i governanti in massima parte destinati all’esilio o alla morte, la dipendenza vitale dai flussi finanziari internazionali.
L’autore, convinto che ogni libro appartenga al suo tempo, ha atteso più di un decennio per pubblicare questa seconda edizione, aggiornata con un lungo capitolo dedicato agli eventi dal 2010 ad oggi, compresi il precipitoso abbandono degli americani, nell’agosto 2021, e il ritorno al potere dei talebani. Poiché si tratta di uno dei Paesi più sottosviluppati del mondo, osserva Barfield, si ha sovente l’impressione che proprio nulla possa cambiare.
L’Afghanistan iniziò a emergere nello scenario della moderna storia internazionale nel XIX secolo, quando il suo territorio fu coinvolto nella rivalità di potere fra India britannica e Russia zarista. Nel XX secolo divenne il “campo di battaglia” della guerra fredda fra Stati Uniti e Unione Sovietica, culminata con l’occupazione del Paese da parte dell’Armata Rossa nel 1979. All’inizio del XXI secolo, l’invasione americana come rappresaglia contro l’attacco dell’11 settembre da parte di Al-Qaeda e dei jihadisti musulmani, a cui fece seguito una ventennale presenza occidentale.
Gli Stati Uniti sono stati la quarta potenza mondiale a occupare l’Afghanistan negli ultimi 180 anni con l’aspettativa di trasformarlo, per poi abbandonare il territorio quando quel progetto si è rivelato un peso politico per gli invasori. Barfield evidenzia il carattere intrinsecamente “politico” di tali decisioni, perche? nessuna di queste potenze mondiali è stata cacciata dall’Afghanistan militarmente; sono stati piuttosto i loro governi a decidere che non era più nell’interesse nazionale mantenere truppe e militari nel Paese.
Barfield azzarda anche un’ipotesi sulla decisione di Joe Biden di dar seguito al processo di ritiro delle truppe americane avviato senza troppe sottigliezze diplomatiche da Donald Trump. A suo giudizio, si tratterebbe di «una rivincita sul periodo in cui egli era vicepresidente di Obama e si era opposto all’incremento dei militari nel 2009, salvo poi essere ignorato».
Poiché l’Afghanistan è stato volutamente lasciato in condizioni di sottosviluppo dalle politiche delle sue amministrazioni precedenti, l’assunto che non abbia la capacita? di cambiare potrebbe rivelarsi errato. Ma per creare uno Stato stabile, osserva Barfield, i talebani devono superare difficili ostacoli finanziari, di reputazione, politici sia all’interno sia a livello internazionale.
L’Afghanistan e? ricco di risorse minerarie (ferro, rame e pietre preziose) che l’economia mondiale e? desiderosa di sfruttare. Potrebbe altresì diventare la via di transito per l’esportazione di energia dall’Asia centrale (petrolio, gas ed elettricita?) verso le economie dell’Asia meridionale. All’epoca della sua occupazione, ricorda l’autore, l’Unione Sovietica aveva effettuato notevoli investimenti nel settore dell’energia idroelettrica fornita dalle regioni montuose dell’Asia centrale. Il crollo dell’Urss lascio? agli Stati successori, come Tagikistan e Kirghizistan, un’eredita? preziosa ma di scarso valore pratico, poiche? le dighe producevano elettricita? solo in estate, quando essa era meno necessaria a livello locale. Per contro, la richiesta estiva di elettricita? sarebbe invece enorme nell’Asia meridionale, se solo la si potesse esportare. Kabul non ha neanche mai sfruttato appieno i diritti sull’acqua che scorre nel suo territorio. In una macroregione arida dove tale risorsa e? sempre più scarsa e costosa, il Paese potrebbe usarla altresì per negoziare dei pagamenti con i suoi vicini a valle, che ora la utilizzano gratuitamente.
La sua popolazione è fra le più giovani al mondo: nel 2019 il 65% degli afghani aveva meno di venticinque anni, e ben il 42% era sotto i quattordici. Ma la Banca mondiale, con dati aggiornati al 2022, denuncia che è povero un afghano su due. Il caso dell’Afghanistan, con la sua secolare dipendenza da risorse finanziarie esterne e con una popolazione composta in maggioranza da giovanissimi poveri è, per questi aspetti, paradigmatico del risentimento e delle rivendicazioni che possono infiammare il Medio Oriente e l’Africa islamica.
È vero che l’emirato dei talebani non ha ottenuto il riconoscimento diplomatico neanche dal Pakistan. Ma, in tempi di caos internazionale polarizzante, la posizione del Paese nel cuore dell’Eurasia può attrarre l’interesse economico e strategico dei rivali dell’Occidente. Così, la Cina è divenuta il primo Paese a formalizzare le relazioni diplomatiche con l’Afghanistan ufficializzando la presenza di un proprio ambasciatore a Kabul, ricambiata dalla nomina di alto rappresentante del governo talebano a Pechino. E ciò, malgrado le convinzioni islamiche dei talebani siano più radicali di quelle degli Uiguri che il Politburo cinese sta reprimendo nello Xinjiang.
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Thomas Barfield
Afghanistan. Una storia
politica e culturale
Einaudi, pagg. 510, € 35