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 2023  dicembre 14 Giovedì calendario

Come mai a un certo punto cominciano a piacerci anche i broccoli

Nelle conversazioni ricorrenti sul cibo capita a volte di parlare della qualità delle materie prime descrivendo un certo alimento di base, dalla frutta al pane agli ortaggi, come diverso rispetto al passato: spesso meno gustoso. Le ragioni dell’evoluzione sono di volta in volta attribuite a fattori eterogenei come il clima, i processi industriali o le tecniche di conservazione. È invece più raro che in queste conversazioni emerga una considerazione su quanto il nostro stesso gusto sia complesso, influenzato da altre percezioni e, soprattutto, in continua evoluzione mentre cresciamo e invecchiamo.
È piuttosto comune e raccontata, per esempio, una certa tendenza ad apprezzare in età adulta cibi e bevande che prima dell’adolescenza erano considerati disgustosi, come verdure e frutti dal sapore amarognolo, aspro o acidulo. In parte è una questione di gusti personali che cambiano, ma in parte no: diverse ricerche mostrano come preferire certi cibi e non altri, a seconda della particolare fase della vita, rifletta anche una certa biologia di base in evoluzione.

In un citato articolo pubblicato nel 2015 sulla rivista scientifica Physiology & Behavior e ripreso in diversi studi successivi, le autrici Julie Mennella e Nuala Bobowski, analizzando i risultati della ricerca sperimentale sul gusto nei bambini, scrissero che questi preferiscono livelli più elevati di dolce e sono più sensibili al gusto amaro fino all’adolescenza. Dopodiché il gusto comincia a diventare più complesso: a subire cioè l’influenza crescente di altri sensi e degli stimoli che i sensi forniscono per formare reti neuronali variamente interconnesse nel sistema nervoso.
Secondo diverse ricerche sull’evoluzione del gusto, l’infanzia è uno dei momenti in cui i sensi subiscono più cambiamenti, mediando tra predisposizioni biologiche comuni e condizionamenti ambientali variabili a seconda del contesto. In un certo senso, secondo Mennella e Bobowski, è come se i bambini vivessero in mondi sensoriali completamente diversi da quelli che vivranno in seguito da adolescenti e da adulti. Studi sull’evoluzione del gusto nei primati suggeriscono che la sensibilità dei primati umani rispetto al dolce (da cui sono attratti) e all’amaro (che genera repulsione) nelle prime fasi della vita sia in gran parte un riflesso della loro biologia.
I nostri sistemi sensoriali si sono evoluti per rilevare e preferire i cibi ipercalorici e un tempo difficili da reperire, e la dolcezza è una specie di “segnale” naturale di questi cibi. Il gusto salato, per cui i bambini hanno un’altra propensione insieme a quella per il dolce, segnala invece la presenza di minerali. In termini evolutivi, la predisposizione verso cibi dolci e salati deriva da tempi relativamente recenti della storia della specie, in cui i bambini avevano bisogno di tutta l’energia e i minerali disponibili per sopravvivere fino all’età adulta.
Per ragioni biologiche siamo quindi molto attratti nei primi anni di vita da fonti di energia e cioè dal dolce, dal momento che dolce e ipercalorico coincidevano nell’ambiente in cui ci siamo evoluti: un ambiente privo di dolcificanti ipocalorici e zuccheri raffinati. Un discorso simile, ma in senso di repulsione anziché di attrazione, vale per l’amaro: come la dolcezza segnala fonti di energia, l’amarezza segnala un possibile pericolo. L’ipersensibilità dei bambini per i sapori amari, secondo le ricerche sui fattori evolutivi del gusto, agisce come un meccanismo di protezione dalla possibile ingestione di tossine durante l’infanzia.
Le predisposizioni filogenetiche della specie interagiscono però con l’insieme dei processi di sviluppo dell’individuo (ontogenesi), condizionati dall’ambiente in cui i bambini crescono. A seconda del contesto e di quanto familiarizzano con determinati sapori a loro disposizione durante l’infanzia, come dimostrato da studi sperimentali, i bambini modellano la loro sensibilità e sviluppano il senso di cosa dovrebbe o non dovrebbe avere un sapore dolce, e quanto dolce rispetto ad altri sapori. Familiarizzano progressivamente anche con i sapori amari, una volta appreso che determinati cibi che hanno quel sapore sono sicuri da mangiare.
Secondo i risultati di uno studio pubblicato nel 2022 sulla rivista Psychological Science che coinvolse un gruppo di donne incinte tra la 32a e la 36a settimana di gestazione, le capacità sensoriali legate al gusto potrebbero cominciare a subire un’evoluzione persino prima della nascita, in base all’alimentazione della madre. Già durante lo sviluppo intrauterino, deglutendo e inalando il liquido amniotico, i feti possono percepire i sapori del cibo mangiato dalle madri.
Per avere una prova diretta di questa capacità, gli autori e le autrici dello studio osservarono e analizzarono tramite ecografie tridimensionali le reazioni facciali dei feti quando le madri mangiavano determinati cibi. I feti erano più inclini a mostrare espressioni sorridenti quando le madri assaporavano una carota, mentre mostravano smorfie e reazioni di disgusto quando le madri mangiavano cavolo. In questo caso, e non in quello della carota, i risultati mostrarono inoltre che le reazioni facciali diventavano via via più complesse man man che i feti maturavano.
Man mano che i bambini crescono e superano l’infanzia e poi l’adolescenza, l’ipersensibilità iniziale all’amaro e la predilezione per il dolce e il salato vengono meno, e a seconda dell’esperienza e dell’esposizione a determinati sapori i gusti cambiano e diventano più complessi. Capita spesso che durante questa fase cibi un tempo disprezzati come cavolo, broccolo e barbabietola, diventino cibi apprezzati e graditi.
La maggiore complessità dei gusti è determinata dalle esperienze e dall’apprendimento, che contribuiscono ad accrescere e articolare le interazioni del gusto con altri stimoli sensoriali fondamentali. In un esperimento di psicologia molto conosciuto e citato, i cui risultati furono pubblicati nel 2004 sulla rivista Journal of Sensory Studies, gli autori dimostrarono che il sapore riferito delle patatine in busta cambiava a seconda della croccantezza percepita.
I partecipanti potevano ascoltare attraverso le cuffie il suono prodotto dal loro morso, ma non sapevano che i suoni provenienti dal microfono, prima di essere rimandati nelle cuffie, subivano un’equalizzazione per eliminare o accentuare di volta in volta determinate frequenze. Alla fine dell’esperimento, dopo aver descritto alcune patatine come più fresche di altre, quasi nessuno dei partecipanti riuscì a riconoscere che le patatine utilizzate dagli sperimentatori erano tutte uguali.