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 2023  dicembre 14 Giovedì calendario

Intervista a Raffaella Curiel


La stilista Raffaella Curiel, 80 anni (Sgp Italia)
Ascolta l’articolo8 miniNEWRaffaella Curiel, la stilista delle milanesi e della Scala. C’era eleganza alla Prima?
«Gli abiti riflettevano la confusione che c’è nel mondo. Un gran risotto. Dal punto di vista musicale, invece, una bella opera, forse un po’ statica, ma con 200 persone sul palco come fai...».
La chiamano l’intellettuale della moda italiana.
«Mi sono inventata gli omaggi agli artisti. Ho dedicato una collezione al periodo iridescente di Balla e quando ancora Frida Kahlo non era di moda ho pensato ad abiti ispirati a lei».
Lei è figlia d’arte.
«Mia madre aveva un atelier in piazza San Babila con 127 artigiane. E a casa nostra c’era un gran viavai di intellettuali: Camilla Cederna mangiava a casa nostra un giorno sì e l’altro pure».
L’implacabile Cederna...
«Più che di eleganza parlava di politica. Era sempre vestita di nero: a un certo punto scrisse un pezzo “Viva le cinquantenni”. Adesso lo dicono tutti, all’epoca le chiudevano nell’armadio».
È cresciuta a moda e cultura...
«La mamma aveva una predilezione per gli intellettuali e i giornalisti: andavamo a pranzo al Bagutta, a mangiare trippa e sottaceti, con Dino Buzzati e l’Almerina, c’era Luciano Minguzzi che aveva inciso la Quinta Porta del Duomo e anche Eugenio Montale, che si metteva a dipingere a tavola. A un certo punto arrivò con la valigia di cartone, da La Spezia, Luciano Francesconi, il vignettista del Corriere della Sera. C’erano Luciano Baldacci e Italo Calvino. Stavamo intorno a una tavola a ferro di cavallo nella saletta Bagutta, prospicente al ristorante, tutti potevano sedersi, a patto di essere intellettuali e creativi. Per i comuni mortali c’era il resto del locale...».
Quando ha deciso di fare la stilista?
«Quando il mio patrigno ha venduto il marchio di mia madre. Volevo riscattare la sua amarezza: chiesi di proseguire a fare questo lavoro senza essere denunciata. Ho aperto un buchetto in corso Matteotti. Chi comprò il marchio chiamò Lagerfeld a disegnare, ma dopo due stagioni chiuse».
Sei anni fa ha venduto a Mr Zhao di RedStone.
«Ho visto una continuità, la sensazione che avrebbero fatto di tutto per portare in alto il mio nome: il signor Zhao ama il nostro Paese, la musica italiana: ci sono già 34 negozi monomarca in Cina con foto mie e della mamma nei negozi. Ora vuole fare anche un film».
Quest’anno compie 80 anni e continua a lavorare.
«Ho un atelier in Montenapoleone dove porto avanti il mio nuovo brand, NoName».

Un suo capo iconico.
«Il “lellino”, l’abito semplice nero. E poi la giacca couture: sono stata la prima a creare tailleur con il blazer impreziosito da ricami e plissé».
Le sue clienti più famose.
«La signora Mubarak: la raggiungevo al Cairo con i campioni di stoffe. E poi cucivo tailleur per la Thatcher»
Lei era socialista.
«Bettino Craxi aveva delle grandi braccia. Mi vedeva incerta sul futuro e mi diceva: “tu occupati dei tuoi figli, se avrai problemi ci sarò”. Un uomo colto, niente a che vedere con certi baluba...».
Sua moglie Anna.
«Voleva pagare tutti gli abiti che prendeva, non è così frequente... Lui mi chiese di invitare una sua cara amica a una sfilata e gli dissi di no: “Mi spiace, sono amica di Anna”. Mangiavamo il bollito la domenica e andavamo al mercatino a Bollate dove cercava cimeli di Garibaldi».
Silvio Berlusconi.
«Un uomo intelligente, dei suoi letti e debolezze non mi importava nulla».
Veronica aveva stile?
«No. L’allure non dipende da ciò che porti, ma da come ti proponi, come cammini...».

La più elegante di Milano del passato.
«Evelina Shapira: la cosa giusta al momento giusto».
E oggi?
«Non mi viene in mente. Alla Scala Chiara Bazoli, in Armani. Giorgio è il re».
Marta Marzotto.
«Solare, mai invidiosa e pettegola, di una generosità unica. Quando era una modella e il conte Umberto voleva sposarla il padre si oppose, le mannequin erano malviste. Mia madre lo rassicurò: “è una brava ragazza”. Un po’ di anni dopo passeggiavamo in Montenapoleone e lei indossava uno zibellino: le dissi che non avrei mai potuto permettermelo. Se lo tolse di dosso: “questo consideralo un regalo in ricordo di tua mamma”».
Lei è una femminista?
«Credo nella parità, ma la donna non deve perdere la dolcezza. A casa gli uomini vanno coccolati, non gli vanno messe due dita negli occhi: “sei ingrassato, hai la barba lunga”. Per forza scappano...»
Ha avuto molti corteggiatori?.
«Il pianista Arturo Benedetti Michelangeli dal palco della Scala suonava e guardava me, mia madre lo fulminava. Ho amato mio marito e dopo la sua morte mi sono bevuta dei bei bicchieri di champagne, nulla di più».
Tre regole di stile.
«Sobrietà, mistero e femminilità».
Tre capi del guardaroba.
«Un “lellino”, uno smoking e una bella camicia bianca».
La lingerie.
«Sempre pizzo, mai con le mutandazze... e a letto nude».
Lei porta la minigonna.
«Se si ha lo stile giusto e delle belle gambe non c’è età. Ma sempre con le calze».
Tacco alto o basso?
«Almeno 7 centimetri, ora vanno gli stivali e in centro senti le truppe cammellate. Sneakers ni: come dicono gli inglesi the right thing in the right place. Bisogna usare la moda, non essere usati dalla moda».
Le donne della tv.
«La Berlinguer si vestiva bene, adesso è mal consigliata. Milly Carlucci è gentile e bella, ma gli abiti... La Vanoni ha stile: a 90 anni ha il coraggio di dire che si fa una canna per dormire... Ornellaccia!».
Lo stile a Roma e a Milano.
«A Milano ci si veste per il giorno, a Roma per la sera».
Chi le piace nella moda?
«Saint-Laurent. In Italia Armani e Chiara Boni. La Chiuri? Cambi pettinatura...».
Perché ci sono così poche direttrici creative donne?
«Ai tempi a fare la moda erano le donne. Mi spiace».
I suoi ricevimenti sono noti in città.
«Cucino io, risotti, polli alla cacciatora: è difficile trovare un catering che rappresenti il tuo modo di essere. Mi aiuta Carlino, lo storico cameriere del Clubino».
I salotti più belli.
«Quello di mia madre con Indro Montanelli, Renata Tebaldi e Mario Soldati. E la casa di Dino Franzin in corso Venezia, con Nureyev.».
Segue le influencer ?
«Certe cose una volta si imparavano in famiglia, il modo di vestirsi, di mangiare. Adesso fanno scuola loro, ma essendo prodotti commerciali possono diffondere il messaggio sbagliato».
Il cummenda esiste più?
«Mi ricordo lo charme di Dino Fabbri e di Angelo Moratti. Sua moglie Erminia quando usciva di casa ravanava nella boule sterline d’oro che distribuiva ai senzatetto».
Lei fa beneficienza?
«Ho fondato la Lega Lombarda per la lotta contro la droga e coinvolto nel mio lavoro le detenute di San Vittore. Troppo facile staccare un assegno».
Un consiglio ai giovani.
«Rubare tutto con gli occhi, porti a casa e ci metti del tuo».
Un sogno per il futuro?
«Valorizzare l’alto artigianato. Non abbiamo più botteghe e le scuole di moda sfornano stilisti di poca cultura».