La Stampa, 14 dicembre 2023
Alba de Céspedes, la solitudine della signora
Roberto carissimo, sono le sette del mattino e forse sorriderai sapendo che ho chiuso la cartella del racconto Prima e dopo e ti sto scrivendo una lunga lettera nella fantasia.
È il 10 febbraio 1955 quando Alba de Céspedes scrive a Roberto Cantini. Sappiamo quindi datare quando la scrittrice finisce la prima stesura di quello che, nelle sue intenzioni, doveva essere un lungo racconto incorporato in una raccolta di storie brevi. Meno preciso ma comunque individuabile l’inizio dello stesso processo creativo: il 3 ottobre dell’anno prima, de Céspedes scrive ad Alberto Mondadori menzionando per la prima volta Prima e dopo. La consegna della raccolta è prevista per il 15 del mese, ma la scrittrice annuncia che consegnerà l’ultimo racconto in ritardo di una settimana, perché lo sta ancora correggendo. Come spesso accade con gli scrittori laboriosi e ossessionati dalle revisioni e dal labor limae, però, i tempi di consegna e pubblicazione saltano. Nonostante il contratto sia pronto già a novembre e l’uscita prevista per Natale, i racconti di Alba de Céspedes usciranno solo l’anno successivo; intanto, la settimana in più richiesta dall’autrice per Prima e dopo diventerà un ritardo di quasi quattro mesi e il testo, per volontà dell’editore che lo paragonerà al Vecchio e il mare e ad altri romanzi brevi, verrà scorporato dalla raccolta per vivere di vita autonoma. Prima e dopo uscirà a dicembre 1955, fra ritardi e incertezze dell’autrice, affezionata al testo e convinta della sua coerenza e necessità all’interno del proprio percorso letterario ma anche dubbiosa sul suo effettivo riscontro commerciale.
Non è scontato avere tutte queste informazioni sulla storia creativa ed editoriale di un romanzo, ma in questo caso è possibile grazie a uno studio intenso e dettagliato che la ricercatrice Antonia Virone ha fatto a partire dagli archivi di Alba de Céspedes, confluito in un interessante libro intitolato Tante cose da dire e da scrivere (Pacini, 2019). È bello poter contare su notizie solide dentro cui fantasticare senza tradire la realtà, immaginare la scrittrice nelle esaltazioni, idiosincrasie, nell’atmosfera nera e distorta dei malumori dell’inventiva, nella precisione maniacale del riassesto lessicale. Pare di vederla mentre si relaziona all’editore consapevole degli equilibri di potere che l’industria culturale comporta, e intanto protegge l’opera da pressioni e aspettative esterne e interiori. Sono queste ultime a interessarmi, a portarmela ancora più vicina: il senso di sfida che Alba, nella consegna di quel libro, avverte dentro di sé. Il timore di non piacere, di non essere all’altezza delle versioni precedenti di sé stessa, così amate dal pubblico. Alba veniva da straordinari risultati di vendita: Nessuno torna indietro, Dalla parte di lei e Quaderno proibito avevano conquistato i lettori e fatto discutere, l’avevano elevata a scrittrice di grande statura capace di arrivare in molte mani, in molte case, di entrare nel cuore di lettrici non abituali. Questo aveva fatto preoccupare prima la censura fascista, attenta al contenuto potenzialmente eversivo dei libri che diventavano popolari, e poi aveva punto la critica letteraria, quasi sempre ostile ai romanzi di successo. Alba de Céspedes era consapevole di essere stata molto amata, odiata, osservata. E, certo, sapeva che fare della letteratura il proprio lavoro comportava una forma di compromissione, ma come tutti i veri scrittori rimaneva attenta e interessata solo a quello che sentiva come il suo dovere: scrivere proprio ciò che voleva scrivere. Assumendosi tutto il rischio di un’adesione missionaria al proprio desiderio. Cos’è quindi questo oggetto letterario presentato come un romanzo, concepito come un racconto e partorito con tanto laborìo? Un effetto straniante che può causare la lettura di Prima e dopo, per chi vi accede dopo aver letto le opere più note di de Céspedes, è nell’incontro con una protagonista diversa dalle donne sottomesse e relegate dei suoi romanzi più noti: di solito, Alba de Céspedes presenta donne sul margine della società e della famiglia, in lotta con i ruoli che la società patriarcale ha previsto per loro, donne che non vogliono essere solo figlie, mogli e madri. Di solito, racconta l’incedere e l’esplodere del loro percorso di emancipazione, succede con Alessandra in Dalla parte di lei, con Valeria in Quaderno proibito. Qui invece troviamo Irene che non deve liberarsi da niente, si è già liberata da tutto: dal matrimonio come unico destino, dalle aspettative della madre. Non ha scelto la maternità, non ha scelto le convenzioni. Vive da sola, è un’intellettuale, scrive per mestiere, ha interrotto un fidanzamento prima del matrimonio e ha un amante. La famiglia di Irene sono le amiche, e anche rispetto alle sorelle biologiche procede per differenziazione: una è suora, devota all’amore per un dio tradizionale, l’altra vive come vivono tutte le donne borghesi della società dell’epoca, ha un marito, è superficiale e frettolosa. Gli altri, le altre, sono, per stessa definizione di Irene, più voci che presenze nella sua vita: la sua condizione reale è la solitudine, quella che paghiamo quando scegliamo di stare al mondo nel modo che più ci somiglia e meno somiglia alle aspettative altrui. La paghiamo tutti, ma soprattutto tutte: alle donne è sempre toccato il prezzo più alto, e Alba de Céspedes l’ha sempre raccontato, altrove come traguardo, qui come punto di partenza.
Scopriamo però, fin dalle prime pagine, che dietro la corazza sana e forte una donna libera può ammalarsi per un abbandono – non quello di un compagno e neppure di un’amica, ma per l’abbandono di una domestica. Con
Irene entriamo nella sottile relazione tra una donna colta e sola e un’altra, di diversa estrazione sociale. Ma anziché marcare il divario tra le due e insistere sul cliché, de Céspedes capovolge gli equilibri, è la domestica ad avere potere, emotivo e psicologico, sull’intellettuale, anche se è più giovane, anche se è ignorante. Irene ha bisogno di Erminia e vacilla quando lei dà le dimissioni. Anche la grande scrittrice ungherese Magda Szabó ha scritto un romanzo su una donna che scrive e la governante, La porta, nel 1987: lì però la governante è una donna furiosa e potente, qui invece sono la debolezza, la fragilità di Erminia a fare di lei quella che stringe il coltello. Erminia esiste per sottrazione, perché se ne va, ma anche perché dice no a un mondo che non capisce, a un modo di vivere che equipara al malocchio, o alla vergogna. Intanto, scoprendo il mondo di Irene, ci interroghiamo sul prima e sul dopo del titolo, che da subito appaiono mobili. In una lettera indirizzata ai lettori per accompagnare il romanzo, Alba de Céspedes scrive: Se anche lo tentassi, non riuscirei egualmente a farvi comprendere cos’è Prima e dopo: e neppure che cosa vuol dire il suo titolo. Vorrei che, leggendo il libro, i lettori si avvedessero che, nella vita di ogni uomo, come in quella di Irene e Pietro, e in quella di Erminia, c’è un momento in cui un fatto, un amore, un incontro, insomma qualcosa ci fornisce l’occasione di domandarci certe cose e tentare di capirle, dandoci così la possibilità di diventare adulti non soltanto per gli anni. E che alcuni approfittano di questa occasione mentre altri trovano più comodo non avvedersene. Poiché essa rappresenta la scelta tra il mondo delle passioni, degli istinti, e quello delle idee. Tra la felicità e la ragione. Anche Irene, come tutte le donne dei romanzi di Alba de Céspedes, sceglie. Viene urtata dal destino e deve imparare a reagire, per difendersi, certo, ma anche per ricostruirsi. Non si smette mai, nemmeno quando si è già a buon punto della propria vita. Sulla soglia di avvenimenti personali e storici, Irene dopo il crollo si guarda intorno e rinomina tutto il suo mondo, smette di essere giudice degli altri e cominciando a guardare sé stessa attraverso gli occhi di Erminia, scavando dentro le proprie fragilità, arrivando, nelle ultime righe a una forma di inclemenza priva di compiacimento che raggiunge un piccolo vertice di scrittura. Così Alba de Céspedes chiude il romanzo e lo consegna, finalmente all’editore. Contrariamente alle sue paure, sarà un altro successo, tante ristampe e tanto amore dai lettori. «Marcia in modo magnifico», le scrive l’editore, e io, segretamente, gioisco con lei.