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 2023  dicembre 14 Giovedì calendario

Silvio e Fidel

«Da ragazzi, per parlare di quello che non c’è più, andavamo a vedere il Milan insieme a suo papà. Chi si inventa che Silvio era interista dice una balla, le solite frottole di quelli di sinistra». Segue un piccolo ghigno. «Il Milan l’avrebbe comprato anche prima: voleva prendere Paolo Rossi dal Lanerossi Vicenza, ma il presidente Felice Colombo si oppose perché con Rivera da una parte e Berlusconi dall’altra lui avrebbe contato poco». Dal 12 giugno al 13 dicembre: sei mesi esatti. Fedele Confalonieri si è preso tutto il tempo che ha ritenuto necessario dalla morte di Silvio Berlusconi per parlare pubblicamente di lui. E per farlo, l’ottantaseienne amico di una vita, ha scelto un ricordo calcistico e la scenografia molto informale ma allo stesso tempo molto ambrosiana, per certi versi intima, di un teatro parrocchiale, l’Oscar di via Lattanzio (che non c’entra nulla con Hollywood, anzi: il nome è l’acronimo di Opera scoutistica cattolica aiuto ricercati). Una sala senza fronzoli: sul palco un pianoforte a coda e due poltroncine, in prima fila come ospite d’onore Vittorio Sgarbi. Come intervistatore, poi, Confalonieri si è scelto un personaggio molto milanese, ma anche molto poco berlusconiano, come Giacomo Poretti. «Diciamo che, più che scegliermi, ha accettato la mia proposta dopo qualche insistenza, perché come si sa lui è una persona schiva: mi ha aiutato il fatto che apprezza il mio lavoro» racconta l’attore, che ieri sera ha registrato con il presidente di Mediaset una puntata del suo PoretCast, format da quattro milioni di visualizzazioni a episodio su YouTube.
Davanti al pubblico, composto da fan del PoretCast ma anche da tante coppie venute apposta per ascoltarlo, Confalonieri non si nega. «Oggi io ho due angeli custodi insuperabili: uno è mia moglie che è stata sposata con me per 60 anni, l’altro è Silvio. La verità è che io ho avuto il culo di essere suo amico fin da quando eravamo ragazzini. Lui era unico, generoso» dice, provando a mascherare un filo di commozione. Quando Poretti gli chiede del suo ruolo di consigliere, poi, “Fidel”, com’è soprannominato, quasi prova a sfatare il mito di una vita. Ovvero quello di essere stato l’ombra saggia di Berlusconi fin dai tempi in cui entrambi portavano i pantaloncini corti e andavano a scuola dai salesiani di via Melchiorre Gioia, a due passi dal quartiere Isola e dalla mitologica «casa della felicità» di mamma Rosa. «Ma quale consigliere – si schermisce Confalonieri –. I consiglieri sono dei rompiballe. Infatti Pinocchio il Grillo parlante l’ha spiaccicato contro il muro. Io credo di avere una discreta capacità di tenere le relazioni. E poi se tu sei nella squadra dove c’è Pelè, il campionato lo vinci anche tu. Ho visto in prima fila cose che altrimenti non avrei mai visto. Poi, evidentemente, scemo non sono, sennò non mi avrebbe tenuto con lui tutta la vita». Altro aspetto che il presidente di Mediaset ci tiene a sottolineare è l’aver fatto parte di un gruppo, un gruppo affiatato dove con Marcello Dell’Utri, Adriano Galliani e Carlo Bernasconi si cooperava senza rivalità. «Eravamo tenuti insieme da un fenomeno. Silvio era un sacramento ma stare con lui era bellissimo: per fare quello che ha fatto lui, dall’edilizia allo spettacolo e alla politica, probabilmente non dando neanche il meglio ma marcando comunque in questo Paese un passaggio, altri hanno bisogno quattro vite». Sulla politica, inoltre, ricorda l’ultimo incontro con Craxi. «Io ero contrario alla discesa in campo e ne parlai con Bettino. Mi disse che Silvio avrebbe preso il 6%, l’8% al massimo. Invece prese il 23%. Fu napoleonico». Altri passaggi riguardano le attività imprenditoriali e il rapporto con i big dell’economia italiana. «Silvio per certi versi è stato anche un lupo solitario – riflette ad alta voce –. Mi ricordo quando in Mediobanca Maranghi voleva che gli regalassimo le tv. Ma salotti buoni di che?». Prima di sedersi al pianoforte – «Una volta per suonare mi pagavano», scherza – gli scappa pure una battuta sul presidente della Repubblica. «Alla Scala si lamentavano che non c’era Mattarella. Ma non è mica un baritono»