Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2023  dicembre 14 Giovedì calendario

Biografia di Tamara de Lempicka

tAlcuni quadri sono lo specchio, la metafora di una fase. Uno, per esempio, incarna i Roaring Twenties, i “ruggenti anni Venti”. Raffigura una donna bionda, bella ed elegante, dall’espressione algida e determinata, alla guida di una Bugatti verde. Ha un casco da pilota, gli occhi sono chiari e freddi, le labbra di un rosso intenso, le mani inguantate. Il titolo dell’opera è Autoritratto (Tamara sulla Bugatti verde). Si tratta, appunto, della pittrice Tamara de Lempicka: il ritratto rappresenta così bene l’air du temps che la direttrice della rivista per signore Die Dame lo mette in copertina più volte. L’automobile, la velocità, l’emancipazione femminile, il senso di audacia ne fanno un’icona, un “manifesto”.
LE CITAZIONI
Il dipinto rimanda anche alle protagoniste di Scott Fitzgerald, a Daisy de Il Grande Gatsby. Se è vero, però, che alcuni degli eccessi, del lusso della pittrice ricordano le eroine di Fitzgerald, la sua storia denota una voglia di affermazione tramite il proprio talento che non appartiene alle signore della “generazione perduta”. Colei che verrà definita “la baronessa con il pennello”, “la dea dagli occhi d’acciaio”, “la regina dell’Art Déco”, certo, è sregolata, amante di uomini ricchi e potenti e al tempo stesso di una bisessualità dichiarata, abituata al consumo di alcol e di stupefacenti. “É un dovere dell’artista provare tutto”, dichiara. Pur tuttavia, sa dare prova di una disciplina prussiana quando si tratta di lavoro. “Uscivo alla sera, non rientravo prima delle due e poi dipingevo sino alle sei del mattino, alla luce flebile di una lampada blu”, ricorderà ripensando ai suoi anni francesi, quando a Parigi si ritrovavano i più grandi geni del tempo.
Ambiziosa, conscia del proprio talento, promiscua, Tamara è un personaggio. Il fondatore del Futurismo, Tommaso Marinetti, diventa suo amico: una sera i due decidono di dar fuoco al Louvre, paradigma di un’arte decrepita, stantia. L’impresa sfuma perché quando i “complici” si recano all’automobile – con le taniche di benzina – devono constatare che il mezzo è stato rimosso. Meno idilliaco è il rapporto con Gabriele d’Annunzio, che pure era ben cominciato. “Vi aspetto al Vittoriale. Troverete qui riunite le Muse dell’arte, della musica e della letteratura”, le scrive all’inizio il Vate, che Tamara vorrebbe dipingere. Poi, però, respinge le di lui avances, non senza aver prima incassato una congrua cifra.
L’INFANZIA
A spiegare questa donna anticonformista contribuiscono in parte i suoi natali. Nasce a Mosca, o forse a Varsavia, il 16 maggio 1898 con il nome di Maria Tamara Gurwick-Gorska. Sua madre è una dama polacca, suo padre un ebreo russo benestante: i primi anni della bambina trascorrono fra Varsavia e San Pietroburgo. Poi il genitore scompare, la mamma trova un nuovo marito e lei si divide fra una zia a San Pietroburgo e la nonna Clementine, con cui compie meravigliosi viaggi, fra cui uno in Italia. Va anche in Francia, prende lezioni di pittura. Ha quattordici anni quando a un ballo in maschera conosce Tadeusz Lempicki, ricco e nobile polacco. Nel 1916 i due si sposano, nasce una figlia detta Kizette. Intanto è scoppiata la rivoluzione, per cui la famiglia fugge a Parigi dopo rocambolesche avventure. La situazione economica non è florida e Tamara riprende a dipingere, frequenta l’Académie de la Grande Chaumière, quindi espone i quadri al Salon d’Automne del 1922, firmandosi T. de Lempicka. Nel suo stile si mescolano l’Art Déco, il cubismo, la classicità di Michelangelo e di Ingres, la lezione di Picasso, la sensualità di Klimt. Fra carnali nudi femminili e autorevoli ritratti maschili, raggiunge il successo.
Nel ’28 divorzia dal marito, va in America, espone al Carnegie Institute di Pittsburgh, il New York Times fa una pagina su di lei. Poi torna a Parigi, riceve l’incarico di dipingere la ballerina di flamenco Nana de Herrera dal ricchissimo barone Raul Kuffner de Diószegh. Ci vuol poco, a Tamara, per sostituire la spagnola al fianco di Kuffner, che la sposerà nel 1933. Il matrimonio è basato sull’indipendenza erotico-sentimentale, ma la pittrice non manca di realismo: quando Hitler sta per invadere la Polonia, lei fa spostare al marito, di origini ebraiche, le sue ricchezze in Svizzera e poi fugge con lui in America. I due vivono in una suite al Waldorf Astoria di New York, quindi comprano una villa a Hollywood e danno feste suntuose e molto trasgressive. Nuovo ritorno a New York nel 42, stavolta in un enorme casa sull’East River. Tamara però soffre da tempo di depressioni, aggravate dal declino lavorativo: non convince il suo nuovo modo di dipingere, che si avvicina all’arte astratta, con temi religiosi e pauperisti. Il marito muore nel ’61, lei va a vivere dalla figlia in Texas; nel ’72 accetta di esporre a Parigi alla Galerie de Luxembourg e conosce un ritorno di popolarità. Muore, quindi, nel 1980 a Cuernavaca in Messico, dove si era trasferita anni prima. E, su sua richiesta, le ceneri vengono sparse da un elicottero nel cratere del vulcano Popocatépetl. Come si addice a un’araba fenice, una creatura di fuoco con un alto senso di sé.