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 2023  dicembre 12 Martedì calendario

Intervista ad Adriano Giannini


Non ha ricordi di una famiglia normale, di una cena con i suoi genitori attorno a una tavola. «Avrò avuto due anni quando si separarono». I suoi genitori sono Giancarlo Giannini e Livia Giampalmo, e lui Adriano Giannini, ha trovato da tempo la sua strada. Malgrado il cognome non è stato un raccomandato. Dopo la maturità e la morte del fratello, ebbe uno sbandamento: «Non sapevo cosa fare». Ha tanti film pronti, Adagio di Sollima è nelle sale da domani. Poi Supersex, la serie di Francesca Manieri per Netflix, prevista alla Berlinale, che racconta la vita di Rocco Siffredi, col volto di Alessandro Borghi.
Lei chi interpreta?
«Tommaso, il fratellastro di Rocco, più grande di lui. Personaggio estremo e complesso. Ruppe con la famiglia. Andò a Parigi dove aprì un ristorante. Entrò in un giro un po’ losco di marsigliesi e corsi. Era il punto di riferimento e l’idolo di Rocco, che a Parigi conobbe Pontello, l’attore hard che lo introdusse al porno. Mia moglie nel film è Jasmine Trinca, da giovanissimo ne era innamorato anche Rocco. Se lui ama le donne? Spero che ami sua moglie. Ho parlato con Rocco, fissandomi mi disse: tu saresti perfetto come pornostar. Eh, un attimo bisogna vedere, risposi imbarazzato».
Lei era considerato un sex symbol.
«Non esistono più, dopo Newman e Redford in Butch Cassidy».
Poi ha capitolato negli affetti.
«Mi sono sposato nel 2019 con Gaia Trussardi e mi sono trasferito a Milano per il suo lavoro. L’anno dopo ci fu il Covid e abbiamo sperimentato, con i suoi due figli adolescenti, una convivenza estrema. Non faccio il padre, non lo sono, cerco di portare rispetto. Durante il Covid ho imparato a fare il pane e ho scritto una favola con Gaia. Avevo già scritto per bambini: un girasole innamorato, una farfalla che ama un filo d’erba. Mi sono rotto delle favole e ho scritto una storia alla Bukowski. Mi piace scrivere, la notte che morì Bertolucci ho buttato una storia che tengo per me, su Bernardo in cielo, finalmente libero, anche di parlare con Giulio Cesare e Shakespeare, o di ritrovare Marlon Brando».
Lei si associa a un remake.
«Un film non riuscito, però l’ho rivisto in tv e non è così male. Certo mancava lo scontro di classe. Travolti da un insolito destino… Mio padre era contrario che facessi l’attore, troppe incognite, però mi incoraggiò nel remake del suo cult. Era tutto troppo per tirarmi indietro. Madonna se la tirava meno di certe attrici italiane che hanno fatto due fiction, la mattina mi facevo trovare da lei con due enormi macchinisti e le facevamo un balletto su Kylie Minogue, con cui aveva polemizzato. Ci mandava a quel paese. Era simpatica, affabile. Ai provini (non ci dissero nulla se non che era un film con Madonna) c’erano tutti gli attori della mia generazione, a torso nudo, contro il muro, alcuni con la pancetta, imbarazzati. Sony non mi voleva per la somiglianza fisica con mio padre; mi vollero gli altri produttori, tra cui il marito di Claudia Schiffer, e il regista Guy Ritchie. La prima volta che mi chiamò, per dirmi di Madonna, pensai a uno scherzo e gli dissi: Prince quando suona?».
Però a suo padre somiglia per davvero.
«Da adolescente detestavo che me lo dicessero. Una volta tirai un piatto di rigatoni in faccia a uno».
Ha cominciato come cineoperatore.
«Dopo la maturità, l’ho fatto per undici anni. Il primo film è quello di mia madre, Evelina e i suoi figli. La storia, autobiografica, di una donna con due figli. Ero disposto a fare qualunque lavoretto sul set, senza avere competenza. Non avevo idea di cosa fare. Volevo guadagnare qualche soldo per andare in America a imparare l’inglese. C’entrava anche la perdita di mio fratello Lorenzo, morto per aneurisma cerebrale. Eravamo molto legati, le vacanze insieme, le risate e le litigate. Rimasi anestetizzato dal dolore, cercai di andare avanti senza pensarci, mi buttai tra le maestranze dei set. Vedevamo il girato prima del regista».
Ha avuto due infortuni.
«Due frittate in Il talento di Mr Ripley. Una scena sfocata, e un’inquadratura di Cate Blanchett dove si scollò una lente dello zoom. Tremai, bianco come un lenzuolo. Minghella, il regista, rifece le due scene senza dirmi una parola. Come operatore ho fatto anche due film semi hard, con attrici porno insopportabili, nemmeno buongiorno dicevano, dopo due ore altro che testosterone, vedevo solo lo squallore. Ho fatto una lunga gavetta. Ricordo Olmi, un alchimista, costruiva i filtri per l’effetto notte. Mi sono meritato il diritto di appartenere al mondo del cinema».