il Fatto Quotidiano, 12 dicembre 2023
“Cara, vienicon gli slip neri…” Lettere osé da Joyce a Colette
Pubblichiamo stralci di “Lettere d’amore – Carteggi di scrittori del Novecento”, da Apollinaire alla Wharton, in libreria con il Saggiatore.
Mia Lou, penso ai tuoi occhi quando mi ami, alla tua bocca, una profonda ferita. Ho in mente l’adorabile posizione che hai preso sabato, le natiche spinte su al massimo in tutta la loro pienezza e, nel mezzo, il cuscinetto di carne bruna e grassa dove si apre a perpendicolo la bocca muta che adoro. Si apre ogni volta che il tuo culo si agita. Sembra lì lì per parlare, e io, padrone della frusta giustiziera, colpisco questo meraviglioso mappamondo. Più ti sbatto e più il tuo culo si agita, sale, sale e mi svela tutto il tuo pudore umido, tumefatto. La prossima volta dovrai aprirti meglio perché possa frustare l’ombroso valloncello tra le natiche dove abita la gialla pasticca di cui sei tanto avara. I tuoi soprassalti erano bruschi come quelli di una carpa che schizza fuori dall’acqua… Mi piace palpare i tuoi seni tiepidi e teneri, che subito dopo voglio cavalcare con lo slancio che tu assecondi così bene.
Apollinaire a Louise
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Mia amata che adoro. È mezzanotte e ½. Mi sono lavata e il mio baule è stato disfatto. L’albergo è orribile, antiquato, con le alcove. È patriarcale, fuori moda, tranquillo, sei franchi. Probabilmente ci resterò. Ti scrivo subito, per avvicinarmi un po’ a te. Ti abbraccio con tutto il cuore, mia adorata, sono una pazza e un’oca a lasciarti
Colette a Missy
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Ancora io sento su la mia bocca/ fremer le tue labbra voraci… Ho amata te sola, sempre; te lo giuro. Soltanto una volta, quando non ci vedevamo mai e io ero così disperato, tentai di far tacere l’angoscia tuffandomi nel piacere. In una notte comprata, una orribile notte… Ne uscii nauseato, triste, col freddo nel sangue, adirato contro me stesso, con un odio cupo contro quella donna. Perdonami… Tu vorrai vedermi per l’ultima volta? Tu vorrai baciarmi? Lo sai, Maria, quanto quanto quanto ti ho amato? Ti lascio quel quadro da dove le pecore ci han guardato baciarci.
D’Annunzio alla Moglie
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Mi sono rimesso da una violenta crisi di fegato e da una malattia della pelle. Tutta colpa dei nervi, dice il dottore. “Gran simpatico in rivolta permanente”. Dopo la partenza, quando rimarrò solo, ti scriverò con più calma… Ricordi certe sere e certi giorni? C’insultavamo con tale accanimento. Victoria, sei la vacca più bella della pampa, come direbbe Omero.
Pierre Drieu La Rochelle a Victoria Ocampo
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Cara, ti prego di abbandonare quella corazza perché non mi piace abbracciare una cassetta per le lettere. Un bacio di venticinque minuti sul tuo collo… Ti lasceranno uscire stasera? In virtù di poteri apostolici conferitimi da Sua Santità Papa Pio X vi accordo il permesso di venire senza sottane a ricevere la Benedizione Papale che sarò lieto di dispensarvi… Spero che stia prendendo quel cacao tutti i giorni e spero che quel tuo corpicino (o meglio certe parti) stiano un po’ ingrassando. Sto ridendo adesso al pensiero di quei tuoi seni da bambina. Eppure come mi si intenerisce il cuore al pensiero delle tue spalle sottili e delle tue membra puerili. Che birichina che sei!… Vorrei che portassi indumenti intimi neri. Vorrei che ti preoccupassi di piacermi, di provocare il mio desiderio.
James Joyce alla Moglie
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Ti amo, sciocca, proprio come il mare ama un sassolino sul suo fondale, nello stesso modo ti inonda il mio amore… Amo il creato intero a cui la tua spalla sinistra appartiene, no, la destra è arrivata per prima e per questo la bacio quando più mi aggrada (e quando tu sei così gentile da spostar via la camicetta) e gli appartiene anche la spalla sinistra e il tuo viso su di me nel bosco e il tuo viso sotto di me nel bosco e il riposo sul tuo petto quasi nudo.
Franz Kafka a Milena
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Ti voglio bene, Maria Nike, ti amo (sono vent’anni che non scrivo una simile parola) e spero che questo mi ringiovanisca… PS. Mandami una tua fotografia, magari piccola, magari il viso solo. Non posso stare così a digiuno.
Eugenio Montale a Margherita Dalmati
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Piccola, dolce scimmietta, che vita miserabile! Tu sei dall’altra parte del mondo e ogni tanto mandi un cablo. Le lettere sono così faticose? Forse! Non ti si deve incalzare… Solo tre mesi del mio sangue sono irradiati di te. Gli altri nove sono nell’ombra; nove mesi nei quali si può concepire, portare a maturazione e partorire un bambino, nove mesi bui, pieni di passato, che non portano ancora il tuo nome, che non avvertivano ancora le tue mani e il tuo respiro e il tuo cuore, né il silenzio e le tue telefonate né il tuo inalberarti e il tuo sonno.
Erich Maria Remarque a Marlene Dietrich