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 2023  dicembre 12 Martedì calendario

L’eredità del fascismo secondo Scurati



In attesa che esca il nuovo volume del suo acclamato romanzo M, Antonio Scurati ci consegna un agile libretto dal titolo impegnativo Fascismo e populismo. Mussolini oggi (Bompiani), che è una sorta di orazione civile e di occasione di impegno dell’intellettuale che si pensava appartenesse ormai solo al passato, una riflessione morale e politica sulla memoria di oggi e sulla storia di ieri sottratta agli strumentalismi della politica e dell’ideologia a cui assistiamo troppo spesso e da troppo tempo. L’occasione di questo intervento, rivisto e ampliato per la pubblicazione, era la relazione tenuta in Svizzera alla fine del settembre 2022 per le Rencontres internationales de Genève, quattro giornate dedicate quell’anno al tema Risentimento. Pericoli e speranze democratiche.
Scurati aveva parlato quattro giorni dopo le elezioni politiche italiane che avevano segnato la vittoria della destra e dato inizio alle vicissitudini del governo Meloni; e aveva iniziato il suo discorso con un richiamo alto, profondo, leggermente ma necessariamente retorico, sulla perdita del senso della storia, della fiducia di poter vivere e contare nella storia – come era accaduto almeno dalla rivoluzione francese – ma con la speranza di ritrovare quel «sentimento perduto della storia» proprio quando, ed era la riscoperta di un «impegno» affievolitosi in questo secolo, «a governare l’Italia sia un partito di estrema destra i cui esponenti di vertice hanno una storia personale, biografica e politica che proviene dal neofascismo».
La possibilità di un «revisionismo fazioso e odioso» sul fascismo nasceva dall’aver mancato di fare i conti storici con quell’esperienza, anche per la presenza di un «mito resistenziale» che aveva impedito di guardare «l’abisso dentro di sé», ricordando che eravamo stati fascisti e superando il «rimosso»: motivi che avevano spinto Scurati a scegliere la «forma popolare ed eminentemente democratica del romanzo» per raccontare il fascismo con gli occhi di Mussolini e dei suoi gerarchi. Il fascismo era stato soprattutto violenza, dall’inizio alla fine, totalitarismo, e i pochi veri nostalgici di quell’esperienza Scurati li considera una «chiassosa, violenta, eterna retroguardia». Ciò che vuole sottolineare, però, è la minaccia alla «qualità della vita democratica», non alla «sua sopravvivenza»: e questo deriva dal Mussolini populista, già all’opera quando «il futuro duce sedusse l’Italia mentre i suoi cani della guerra la stupravano».
È in questo populismo, depurato ormai e dimentico della violenza che gli era connaturata, che sta l’eredità di Mussolini nel sovranismo attuale: nell’identificazione col popolo e ritenervi estraneo chi non l’accetti; nella capacità giornalistica di parlare facile e ad effetto; nel sostituire il volontarismo al razionalismo, nella polemica antiparlamentare, nel tatticismo assoluto, nella capacità di dominare le masse «seguendole, stando un passo dietro a loro». Mussolini, che non aveva profonde convinzioni e fedeltà, era un «avventuriero facile a ogni travestimento, ripensamento e tradimento», ma aveva capito che la paura aveva più forza della speranza – il grande valore dei socialisti – e l’aveva costruita e ampliata fino a farla tramutare in odio, per un nemico che era stato identificato nella sua estrema semplificazione (i socialisti, appunto) e che perfino i liberali e i popolari avevano accettato di considerare tale.
Scurati non vuole compiere una disamina analitica o storica di che cosa sia stato e sia il populismo – su questo si può leggere con profitto Dai fascismi ai populismi di Federico Finchelstein (lo ha pubblicato Donzelli nel 2019) – ma mostrare il legame che esiste tra l’esperienza fascista e il populismo nostrano che stava andando al governo: e cioè una prassi politica, una strategia di comunicazione e una leadership che possono esistere anche senza la violenza del fascismo, quella violenza che del fascismo era stata inizio e fine e l’aveva accompagnato per tutta la durata del regime, anche negli anni del più forte, e spesso dimenticato, consenso. Quell’eredità significava per Scurati, nel momento in cui il governo Meloni non era ancora operante ma iniziava di fatto la sua storia, una «minaccia per la qualità e pienezza della vita democratica»: capace di apprendere dalla storia passata del fascismo quegli aspetti di «seduzione» delle masse che Mussolini aveva per primo e vittoriosamente costruito in Italia. Riuscendo a far convivere, così, il rigetto del fascismo-violenza con la rielaborazione attuale del populismo che lo aveva accompagnato.