il Fatto Quotidiano, 11 dicembre 2023
Vita controversa di Donna Summer
Non si fidava più dell’aria che respirava. Era diventata paranoica. Viveva a un tiro di schioppo dalle Torri Gemelle, e dall’11 settembre girava con uno spray per purificare gli ambienti. Ossessionata dal finire contaminata dalle polveri di Ground Zero. Leggenda vuole che, anche prima del giorno dell’orrore, si rivolgesse al marito Bruce Sudano per confidargli oscuri presagi: “Il terrorismo sta arrivando, e colpirà sulla cima degli edifici”. Donna si sentiva un bersaglio, chissà quanto diretto, di Al Qaeda. Non solo era una star, ma soprattutto una cristiana rinata. I suoi riti di preghiera divennero incessanti, dopo il 2001. Il 17 maggio 2012, svanì ogni speranza di salvezza terrena quando il suo staff ne annunciò la scomparsa: tumore fulminante ai polmoni. Era una fumatrice, ma alcuni media – dal sito TMZ a The Telegraph – sottolinearono lo stato di angoscia in cui la 61enne Donna Summer aveva vissuto dal momento in cui le Twin Towers vennero giù. Eppure Dio si era già prodigato per lei, in un momento di disperazione.
Alla fine del ‘76, con la carriera avviata a una velocità più vertiginosa di un hit da dancefloor, la giovane star pensò che nulla valesse davvero la pena. Sola nella stanza al Navarro Hotel del Central Park South, con Manhattan ai suoi piedi, venne assalita “da un profondo smarrimento”, rivelò poi. La depressione l’aveva azzannata di nuovo. Distolse lo sguardo dalla tv, e come in trance spalancò la finestra. La testa che ripeteva “basta!”, una gamba nel vuoto, l’altra restò impigliata nella tenda. Proprio in quell’istante una inserviente entrò chiedendole di poter rifare il letto. La ragazza non si era allarmata. Con la sua calma aveva fatto desistere Donna dal tentativo di suicidio. Perché deve essere maledettamente facile perdere contatti con se stessi quando ti costruiscono addosso un personaggio in cui non ti riconosci. L’avevano denominata la First Lady dell’Amore dopo il successo di Love to Love You Baby. Che nell’arco dei 17 minuti del brano contava ben 22 presunti “orgasmi” della cantante nera, trasferitasi dalla sua Boston fino a Monaco dopo l’ingaggio nella versione tedesca del musical Hair. Era stato Giorgio Moroder, ispirato dalla vecchia Je T’Aime Moi Non Plus, l’esplicita performance erotico-canora della coppia Birkin-Gainsbourg, a lavorare su un tappeto musicale decisamente sexy, aiutato dall’altro autore Pete Bellotte. Una prima registrazione durava il tempo di un 45 giri, ma nella notte bavarese squillò il telefono. Il boss discografico Neil Bogart chiamava dalla California, gli ospiti del suo party erano impazziti per la voce della ragazza, occorreva incidere un formato più esteso del pezzo. Donna Summer fu persuasa a sdraiarsi in studio, le luci furono spente ed accese delle candele. Gemiti, ammiccamenti, sospiri: tutto finto ma assolutamente seducente. Dopo, Donna non riuscì più ad ascoltare quel vinile, ma il mondo sì. Con la pruriginosa America che la boicottava, mentre l’Europa l’adorava. Era fatta, anche se la Summer (nome d’arte mutuato dal primo marito, il ballerino tedesco Helmut Sommer) pensava: “Questa non posso essere io!”. Veniva da una famiglia morigerata, cantava da bimba nelle chiese. Eppure la sua vocalità suadente era la perfetta colonna sonora di milioni di amplessi. Poi venne la conquista delle discoteche, e pure quella era una rivoluzione sessuale. Quando sentì I Feel Love Brian Eno disse a David Bowie: “Questo è il suono del futuro”. E John Lennon ascoltava per ore quella sparatissima base moroderiana chiedendosi che fare. Intanto Donna continuava a smarcarsi più che poteva dal ruolo di Afrodite delle piste: versatile come nessuna, sapeva cavarsela col pop, il soul, il rock, lo swing, e naturalmente il gospel. Una diva completa. Vinse un Oscar con The last dance. Springsteen scrisse per lei la furiosa Protection, duettò con Barbra Streisand e con tutto lo star-system interoceanico. Incise in inglese la bocelliana Con te partirò, prese le parti delle prostitute hollywoodiane in Bad girls e delle cameriere sfruttate in She works hard for the money, ma fu messa al bando dalla comunità gay dopo una fake news in cui si diceva avesse sostenuto la tesi ‘che l’AIDS è la punizione divina per gli omosessuali’. Una menzogna infamante, ci vollero anni per chiarirlo. La Donna che, agli inizi della fama, qualcuno sostenne che neppure esisteva, che corpo e voce non coincidessero. A lei, di recente, è stato dedicato un documentato libro (La voce arcobaleno, da disco queen a icona pop, ed. Coniglio), da Andrea Angeli Bufalini e Giovanni Savastano e un docu (per Sky), Love to Love you, diretto da Roger Ross Williams e dalla terzogenita della Summer, Brooklyn Sudano. Il 31 dicembre prossimo la regina della disco avrebbe compiuto 75 anni. Ma sembra ieri da quel beat irresistibile.