il Fatto Quotidiano, 11 dicembre 2023
Intervista a Sveva Casati Modignani
Lady bestseller è una sciura milanese che svetta con la memoria dei suoi 85 anni e sferza il grande partito degli sbadati, dei distratti, dei senza cura.
Se fossi stata alla Scala avrei gridato anch’io che l’Italia è antifascista. È un dovere ricordarlo a chi, come il presidente del Senato (sedeva nel palco reale a rappresentare tutti, o no?), resta devoto a Mussolini al punto, come purtroppo leggo, di conservare in casa il suo busto.
Sveva Casati Modignani, all’anagrafe Bice Cairati, è la regina del romanzo familiare, quasi tredici milioni di copie vendute, attiva e prolifica narratrice della vita che si incontra, dei cuori e dei dolori, delle lacrime che rigano gli amori.
Ero una ragazzina quando quel giorno memorabile papà rientrando a casa ci urlò: abbiamo la pace! Chiesi sconcertata: cos’è la pace? Conoscevo solo la paura che mi correva dietro alla vista degli stivali neri dei soldati tedeschi, al silenzio che circondava le milizie, e l’ansia che qualcuno di noi finisse inghiottito nei sottoscala della questura.
Dicono: che senso ha oggi continuare a usare l’antifascismo come spada per ingaggiare battaglie ormai superate dalla storia?
Si dimentica o non si vuol tener conto di una enorme novità: in giro si risente l’odore acre dell’idea che la società cammini indiscutibilmente sulle spalle dei più forti, e che il potere debba tenersi amico l’altro potente. E infatti la classe operaia che negli anni passati era il ceto sociale centrale nel dibattito pubblico oggi ha perso consistenza e perfino reputazione. Gli ultimi, i penultimi e persino coloro che potrebbero aspirare a posizioni più avanzate nella società non sono presi in considerazione, non producono dibattito. I loro problemi non sono questioni importanti. La destra certifica che si governa con il sostegno dei forti o almeno dei più forti.
Questo le basta per dire che c’è odore di fascismo?
Anche la piega di questi continui femminicidi non sono l’illustrazione del potere del più forte sul più debole? È potenza fisica che si ciba di una cultura machista e che nutre il proprio linguaggio, spesso violento, mutuandolo dalla piazza prevalente. Sempre nei dintorni della destra andiamo a finire.
Se la destra è questa, la sinistra dov’è?
Definiamo il Pd come partito di sinistra benché non lo sia. E così lo accusiamo di ciò che non è. Infatti oggi l’opposizione non raccoglie la grande eredità delle lotte operaie, è come estranea a quel blocco sociale, non vive le stesse passioni e non ha connessioni con tutta quella gente che infatti non vota più. Il Pd è finito dentro il cerchio della media e grande borghesia, perno del circuito della burocrazia statale. Non ha sangue nelle vene. Infatti le piazze sono vuote nel tempo in cui dovrebbero riempirsi. Perché?
Manca un leader?
Anni fa per preparare un romanzo sulle lotte sociali (il titolo è Suite 405) andai a trovare Maurizio Landini. Ci incontrammo a Gabicce, dove lui trascorreva le vacanze. Lo interrogai su molti temi, cercai di conoscerlo meglio e trovai una persona con tante buone idee in testa. Non comprendo come in Parlamento non si sia fatto ricorso a lui.
Lei parla di classe operaia come da decenni non si usa più. Sembrerebbe l’ultima nostalgica della falce e martello.
Quel simbolo ha condotto fuori dalla miseria milioni di persone e io che sono una sciura della borghesia milanese ricordo benissimo le lotte per la dignità del lavoro, per i diritti civili, per il raggiungimento di un benessere materiale che permettesse di conquistare la dignità. La storia dev’essere ricordata e soprattutto rispettata.
Ma il mondo è cambiato, oggi c’è Giorgia Meloni a palazzo Chigi.
E temo – se non si danno una mossa – che ce la terremo per un bel po’.