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 2023  dicembre 10 Domenica calendario

Intervista a Claudio Panatta


Claudio Panatta si racconta: «Con Adriano dieci anni di differenza, ancora oggi ci confondono. I suoi consigli da capitano illuminanti». Poi su Sinner: «Fortissimo, ma nessuno è come mio fratello»
Ascolta l’articolo7 miniNEWGiocava a tennis come un angelo, Claudio Panatta, però non era Adriano. «Ho vinto un torneo su quattro finali, sono salito al n.46 del mondo nel giugno dell’84. Potevo fare di più? Certo, ma anche di meno. Lendl, McEnroe, Connors, l’ultimo Borg: gli anni 80 sono stati il decennio più denso di talenti della storia. In quella élite estremamente prestigiosa, c’ero anch’io. Sono felicissimo, nessun rimpianto».
A 63 anni, ancora bello come un divo (ma umile), Claudio Panatta conserva l’eleganza di un tempo. Dal gennaio 2020 è direttore del Tc Parioli, a Roma («Pronti, via: la pandemia. Ma ne siamo usciti bene: 1.200 soci, più 350 allievi della scuola»), il circolo attorno a cui ruota la storia della sua famiglia: «Il Parioli nasce a Viale Tiziano, dove comincia la leggenda di mio fratello Adriano, detto Ascenzietto dal nome di mio padre, Ascenzio, custode dei campi. Nonno Pasquale era custode del campo della Rondinella, l’attuale Flaminio. Io non ero nato. Ma se lassù a papà fosse arrivata la notizia che oggi dirigo il club che ha visto crescere, beh io credo che sarebbe contento e orgoglioso».
Claudio lei viene al mondo il 2 febbraio ’60, quando Adriano ha già dieci anni.
«Era già grandino, e forte. È partito per il centro tecnico di Formia che io ero ancora bambino. A casa c’era pochissimo, ho frequentato di più mia sorella Laura, che dopo una frattura alla clavicola ha smesso di giocare a tennis. Ma quando tornava Adriano, era una festa. Eravamo un terzetto affiatato e complice, siamo venuti su sereni in una famiglia normale, molto unita. Poi il tennis ha portato via anche me, e Laura è rimasta quasi una figlia unica».
Il ruolo di mamma Liliana?
«Fondamentale: una presenza costante con il pensiero rivolto all’educazione dei figli, ci teneva moltissimo. Vivevamo all’interno di un impianto sportivo, frequentato da tanta gente: che fossimo educati con tutti per lei era importante. Qualità che ci siamo portati dietro per tutta la vita».
Scusi Claudio, ma da fratello minore di Adriano Panatta se c’era una carriera da evitare non era proprio il tennis?
«Al contrario: non ho mai patito il fatto che lui fosse più forte, non conosco l’invidia. Ho fatto il tennista perché era la mia più grande passione e Adriano mi ha sostenuto. Non ho mai fatto paragoni: sarei impazzito. L’ho preso come esempio da imitare, sin da piccolo. Adriano era il mio modello. Nulla di ciò che è stato Adriano Panatta ha suscitato la mia gelosia. Mai».
Non i successi, non l’anno d’oro 1976, non le conquiste femminili, non la popolarità.
«Nulla di nulla. Ho sempre e solo avuto ammirazione per la sua schiettezza, oltre che per il suo sconfinato talento. Nessuno vede il tennis come Adriano. Ha un carattere forte, carisma, personalità. È molto deciso nelle sue idee. Non c’è una volta in cui io sia in disaccordo».
Anche la vostra somiglianza è impressionante.
«Mi è successo di essere scambiato per Adriano, certo: a lui dà fastidio quando lo chiamano Claudio, a me non è mai importato nulla. Anche mia figlia, quando guarda le vecchie foto, si confonde! Trovo che invecchiando la somiglianza sia sfumata, però».

Adriano e Claudio Panatta
Nel ’76, anno del triplete (Roma, Parigi, Davis) lei aveva 16 anni. Cosa ricorda?
«Poco. L’anno prima ero stato convocato a Formia: ero sempre in giro per tornei o con le varie Nazionali giovanili. Quando l’Italia vinse la Davis in Cile, io giocavo l’Orange Bowl a Miami. Non ero mai con lui e non esistevano i social, che oggi in un attimo fanno fare il giro del mondo alle notizie: guardavo i titoli dei Tg e leggevo i giornali».
Bei tempi, Claudio. Qual è la sua gioia più grande?
«È una sconfitta, curiosamente: terra verde di Forrest Hills, quarto di finale con John McEnroe sul centrale, tre set tiratissimi. Perdo 7-6 al terzo ma l’applauso del pubblico mi impedisce di lasciare il campo: avevano apprezzato lo spettacolo. Mi sono commosso. Anni dopo ho battuto Agassi a Firenze ma nulla mi ha più dato il brivido di quella standing ovation».
Venti presenze in Davis, dall’83 all’87, sempre con Adriano come capitano. Tranne l’esordio. Che fu traumatico.
«Bitti Bergamo, che aveva sostituto Pietrangeli, era morto in un incidente d’auto vicino a Prato. In panchina c’è Vittorio Crotta e io prendo il posto di Zugarelli. Ero preoccupato: avevo tolto il posto a una pietra miliare dello sport, ma servivano rimpiazzi. Non solo: Crotta mi fa debuttare estromettendo Adriano dal singolare. Siamo a Reggio Calabria contro l’Irlanda del Nord. Venivo da un infortunio alla caviglia, non mi aspettavo di giocare, ero molto giovane: non sapevo come gestire la situazione. Morale: ho perso tutti e due i match».
Con suo fratello in panchina andrà meglio.
«Un c.t. eccezionale: dava sempre il consiglio giusto. A Palermo, contro il Paraguay di Victor Pecci, che aveva un doppio imbattibile, entra in spogliatoio e mi dice: a Cla, oggi contro Pecci fai serve and volley tutta la partita! Beh, ha funzionato. La verità è che la visione di Adriano è unica».
Insieme, in Davis, ne avete approfittato per recuperare il tempo perduto?
«Lui ha smesso a fine ’82, io avevo appena iniziato: non ci eravamo mai frequentati tanto come in azzurro. Vivendo insieme abbiamo riconquistato l’intimità perduta».
Traspare un grande amore dalle sue parole, Claudio.
«Ci siamo sempre voluti molto bene. Oggi, poi, siamo unitissimi. È un rapporto meraviglioso, anche con Laura, i genitori non ci sono più e allora ci si conforta a vicenda. E siamo entrambi nonni».
Di Adriano sappiamo quasi tutto, ma la sua famiglia?
«Ho avuto due figli da un primo matrimonio, Cristiana e Francesco, che sono grandi; poi Diletta, 25 anni, da un’altra relazione. Dal 2001 sono sposato con Serena, abbiamo Swamida che è un misto tra Swami (amore in Indi) e Ida (la nonna di mia moglie). Tre nipoti, in totale. Una super famiglia. Al matrimonio di Adriano con Anna, a Venezia, eravamo metà di mille!».
L’ha mai battuto?
«Una volta, a Sanremo nell’82, davanti ai miei: giornata memorabile. Poi persi la finale con Barazzutti ma insieme vincemmo il doppio. Adriano giocava un tennis bello e difficile, inimitabile. Sinner è fortissimo ma Panatta ha reso il tennis popolare in Italia. Come lui, non c’è nessuno».