la Repubblica, 10 dicembre 2023
Intervista a Paolo Cirino Pomicino
«Se questa è la terza Repubblica, mi tengo stretta la prima». Paolo Cirino Pomicino legge e rilegge la bozza della riforma costituzionale e abbandona qualsiasi felpatezza da vecchia Dc: «È un testo che sembra uno scherzo». Il ragionamento è complesso e non può limitarsi alla boutade. L’ex ministro, per anni fedelissimo di Giulio Andreotti e uno dei volti di una stagione spazzata via da Tangentopoli, mette subito le mani avanti. La pregiudiziale è quasi spiazzante: «Vogliamo dire che io sono il Male?
Diciamolo pure. Ma oggi il Bene fa concorrenza al Male. E questa riforma è la tomba, anzi il tombino, di una lunga decadenza che comincia proprio nel ‘94».
Obiezione piuttosto forte…
«Credevo che Meloni si ritrovasse ormai in un’ortodossia europea, atlantista che è sempre stata il punto di riferimento della nostra democrazia. Insomma, guida un partito di conservatori. Ma questa legge va in senso autoritario.
Sembra quasi faccia cadere la maschera della premier».
L’elezione diretta è vista come la soluzione a governi instabili e multiformi.
«Ma qui si inventa una cosa, il premierato, che non c’è in nessuna parte del mondo: si è fatta un’esperienza in Israele ma hanno cambiato rotta nell’arco di cinqueanni, dal ’96 al 2001».
Perché pensa che non può funzionare?
«Nei sistemi presidenziali, il leader eletto non si porta mai il premio di maggioranza dell’assemblea. Vedi l’Assemblée nationale francese e il congresso americano. La guida politica eletta che si trascina la maggioranza può esserci al Comune di Canicattì».
Alcuni costituzionalisti mettono all’indice un altro aspetto: la compressione dei poteri del presidente della Repubblica.
«Questo progetto di legge trasforma il capo dello Stato in un fantoccio. Ma a me sembra più grave il pregiudizio che subirà il Parlamento».
Il premierato è una formula di compromesso. Il centrodestra puntava al presidenzialismo.
«La terza via del premierato non c’è, se non nelle autocrazie. Chi tocca le
libertà dei parlamentari, aggiungo, tocca le libertà del Paese».
Scusi, Pomicino, ma con quale argomenti parla l’esponente di una Prima repubblica in cui i governi cambiavano ogni anno?
«Ah, guardi, le fornisco subito un dato: dall’83 al ’92 ci furono quattro primi ministri (Craxi, Fanfani, Goria, Andreotti) più un governo elettorale guidato da Fanfani nel 1987. Nei primi sette anni della Seconda Repubblica abbiamo avuto sei esecutivi: Berlusconi, Dini, Prodi D’Alema, Amato e ancora Berlusconi. Con l’avvento del maggioritario c’è stato un aumento del numero dei governi, in tutto 16, cinque volte è avvenuto il cambio della maggioranza e per sette volte l’Italia ha avuto un esecutivo che era minoranza nel Paese. In più si è moltiplicato il numero dei partiti: 19 contro i 9 della prima Repubblica».
Il ribaltone è diventato il
simbolo dei peggiori guasti del nostro assetto istituzionale.
«Ma è sempre colpa del sistema maggioritario! Ai miei tempi non c’erano ribaltoni, al limite scissioni politiche. E non c’erano cambi di casacche».
Non c’è ancora, però, una legge elettorale nuova.
«Ma il progetto di riforma costituzionale dà un’indicazione chiara: prevede un premio di maggioranza al 55 per cento. È anche peggio. E si contravviene a una sentenza della Consulta».
Siamo all’elogio senza riserve di un sistema crollato sotto i colpi delle inchieste per tangenti.
«Guardi, il fatto che sia crollata la Prima Repubblica, che ci sia stata Tangentopoli, non mi impedisce di dire la mia sull’esigenza di costruire un sistema autorevole e solido. La politica oggi non guida più la società. La insegue. Va appresso a ogni umore, a qualsiasi fregnaccia, al pifferaio di turno, inventa partiti personali. E basti vedere la classe politica prodotta: scusi, eh, ma nel collegio di Napoli negli anni ’80 correvano, Gava, Scotti, Napolitano e Chiaramonte».
Meloni dice che sarò la madre delle riforme e ci porterà nella Terza Repubblica.
«Rischia di essere la tomba, anzi il tombino, di un lungo periodo di decadenza della democrazia».