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 2023  dicembre 10 Domenica calendario

Il Texas nega l’aborto a una donna che rischia la morte


Corrispondente da washington
Kate Cox ha 31 anni, due figli, e ne aspetta un terzo. Vive a Dallas, in Texas, uno dei tredici Stati con la legge più restrittiva in materia di aborto. Praticamente è bandito. Ha scoperto di essere in incinta in agosto, ma in ottobre l’eccitazione per un nuovo arrivo nella famiglia, ha cominciato a diradarsi. Dagli esami del sangue infatti erano emerse complicazioni. Nelle settimane seguenti la prognosi sul feto era peggiorata sino a quando da un approfondimento eseguito con gli ultrasuoni era emerso il verdetto più agghiacciante: irregolarità cardiache, difficoltà nello sviluppo del cranio, problemi ai nervi neurali e una colonna vertebrale contorta. Il 28 novembre Kate ha ricevuto la diagnosi: il suo terzo bambino soffriva della Sindrome di Edwards, una malattia genetica caratterizzata dalla presenza nelle cellule dell’individuo di un terzo cromosoma 18 (da cui il nome anche di Trisonomia 18). Il bimbo sarebbe nato morto o se anche fosse sopravvissuto al parto avrebbe avuto una vita di pochi giorni.
La gravidanza è stata complicata sin dall’inizio, Kate era stata spesso al pronto soccorso lamentando forti dolori. Inoltre, portare a termine una gravidanza simile avrebbe pregiudicato non solo la sua salute ma anche la possibilità in futuro di avere altri figli. L’unica opzione era ricorrere all’interruzione di gravidanza. Ma il Texas non lo consente. La legge e i diversi emendamenti mantengono un linguaggio vago sulla salute della madre e non citano le condizioni del feto come possibili eccezioni. Cox non si è scoraggiata e ha chiesto aiuto al Center for Reproductive Rights (Crr).
«Non è questione se dovrò dire addio al mio bambino, ma quando. Non voglio continuare a patire le sofferenze che stanno minando la mia gravidanza. Non voglio vedere il mio bambino venire al mondo solo per vederlo soffrire di un attacco di cuore o morire soffocato. Ho bisogno di mettere fine alla gravidanza, è la chance migliore che ho per la mia salute e per future gestazioni», ha scritto Cox nella causa che ha intentato con l’aiuto del Crr. E che ha trovato giovedì nel giudice distrettuale, la democratica Maya Guerra Gamble, un alleato. Ha infatti autorizzato, derogando alla legge, l’aborto. È la prima volta in cinquant’anni che un giudice dice a una donna che può abortire, di fatto ristabilendo un diritto che il rovesciamento della sentenza Roe contro Wade da parte della Corte Suprema federale nel giugno del 2022 aveva tolto.
Ma la delibera di Maya Guerra Gamble ha avuto vita breve. Il procuratore del Texas, il conservatore Ken Paxton, ha impugnato la sentenza e ha chiesto l’intervento della Corte suprema statale (vi siedono nove repubblicani) che venerdì sera ha ordinato lo stop temporaneo. «Pausa amministrativa», hanno detto i giudici riservandosi più tempo per il verdetto definitivo. La legge del Texas, infatti, proibisce l’aborto con limitate eccezioni, fra cui la salute e la protezione della vita della madre. Mentre i dottori che hanno in cura Kate ritengono che proseguire la gravidanza comporti un rischio per la mamma, il procuratore ha sostenuto che i documenti presentati dalla donna e dall’equipe medica non erano sufficiente esaustivi nel sottolineare i pericoli. «L’unica cosa certa – ha quindi aggiunto – è che nulla potrà riportare in vita un bambino se la decisione della corte di consentire l’aborto sarà portata avanti». Medici e associazioni che si battono per il diritto all’aborto considerano il caso di Cox un possibile spartiacque: molte leggi statali sono contorte, ma anche complesse. Il limite di sei settimane all’interruzione di gravidanza è difficilissimo da rispettare. Sempre più cliniche oggi non offrono più interventi e cure e le liste di attesa in altri centri sono lunghissime.
Spesso facendo arrivare le donne oltre il limite consentito per interrompere la gestazione.
Poco dopo che la storia di Cox diventasse pubblica, un’altra donna incinta di otto settimane ha promosso una class action contro la legge del Kentucky, che è uno dei tredici Stati Usa che vieta l’aborto dopo le prime sei settimane. «Il governo mi ha negato l’accesso alle cure di cui ho bisogno», si legge nella denuncia appoggiata dall’American Civil Liberties Union.