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 2023  dicembre 10 Domenica calendario

Mes, Meloni rinvia ancora Il via libera può arrivare durante le feste di Natale

ROMA
Giorgia Meloni sa che la ratifica del Mes è inevitabile, i suoi ne parlano ormai quasi apertamente. Altra certezza: ci sarà un prezzo da pagare e senza l’aiuto degli alleati. Il passo si dovrà compiere, insomma, ma nessuno sa come, né quando. Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti nei giorni scorsi una data l’aveva citata: «La questione è nelle mani della Camera che ne discuterà il 14 dicembre». Il ministro dell’Economia si riferisce alla proposta di legge di ratifica del trattato, primo firmatario Luigi Marattin di Italia Viva, che compare nel calendario dei lavori della prossima settimana. Eppure, a meno di sorprese clamorose, il voto sarà ancora una volta rinviato. Anche perché, la strategia del governo è di utilizzare la ratifica come arma negoziale della trattativa sul nuovo Patto di Stabilità e giovedì prossimo l’accordo non ci sarà ancora.
Le parole di Giorgetti hanno innervosito Fratelli d’Italia, «per uscire dall’imbarazzo ha fatto ancora più confusione». La linea del partito di Giorgia Meloni è, nel dubbio, prendere altro tempo. Anche se questo comporta un aumento delle pressioni in Europa e delle tensioni con la Lega che non è nell’animo di condividere i costi politici della retromarcia sul Salva Stati: «Stiamo aspettando che FdI ci faccia sapere cosa fare, al momento non è chiaro», dicono con malizia da Via Bellerio.
Come se ne esce? La ratifica nessuno la mette in discussione, anzi se n’è cominciato a parlare apertamente, prima il vicepremier Antonio Tajani, in un’intervista a La Stampa, seguito da Nicola Procaccini, FdI, co-presidente del gruppo dei Conservatori, che parlando con Il Messaggero dice «si potrebbe ratificarlo vincolando il suo utilizzo a un’espressione del parlamento». Il dilemma ora è quando. Le ipotesi sono due: o a gennaio o a ridosso di Natale. A Palazzo Chigi stanno cercando di preparare il terreno per ammortizzare le probabili conseguenze negative, in termini di coerenza, del via libera a un trattato che è stato dipinto come il male assoluto per anni. Così, la forma migliore potrebbe essere quella di un voto nel corso delle feste di Natale, contando sulla distrazione dell’opinione pubblica per non far troppo rumore. Certo, la presenza ingombrante della legge di Bilancio proprio in quei giorni non facilita il compito, ma, almeno da un punto di vista parlamentare, il voto sul Mes non comporterà un dibattito ampio.
L’altra strada è rimandare tutto all’anno nuovo. Ma, ragionano nel partito della premier, che senso avrebbe trascinarsi ancora il problema, con il rischio concreto di mandare un segnale pessimo all’Europa? Senza la ratifica italiana, che è l’unica a mancare, il Meccanismo europeo di stabilità non entrerà in vigore, lasciando scoperte le banche di un fondo di garanzia.
In ogni caso, l’indicazione che i deputati e senatori hanno ricevuto da via della Scrofa è chiara: non si deve votare giovedì prossimo «per l’Italia è dirimente per la ratifica il risultato sulla riforma del Patto di Stabilità che sarà di nuovo discussa in una prossima riunione straordinaria dell’Ecofin il 19 dicembre», come si legge nell’edizione di venerdì scorso di Ore otto, l’opuscolo inviato ai parlamentari dai vertici del partito, con la versione ufficiale da fornire ai mezzi di comunicazione.
Un altro indizio della volontà di soprassedere ancora una volta, arriva dalla collocazione assai remota della proposta di legge di ratifica all’interno del calendario dell’Aula (quarto tema di giovedì pomeriggio). Confinare al fondo dell’agenda parlamentare il via libera al Meccanismo Salva-Stati è ovviamente una scelta politica. Alla Camera non è arrivato alcun segnale da parte del governo di voler arrivare a questo voto. Nel messaggio che i deputati di Fratelli d’Italia ricevono con i punti salienti della settimana, la proposta di legge di Marattin non compare affatto.
Quello che viene dato per certo è che il via libera al Mes non avverrà con un semplice «sì», ma la maggioranza cercherà di vincolare la ratifica a delle condizioni. Una potrebbe essere la cosiddetta “clausola tedesca”, proposta nelle scorse settimane dall’ex ministro del Pd Enzo Amendola: un’eventuale futura attivazione può essere fatta solo con una maggioranza parlamentare qualificata. La Lega chiede, invece, una formula ancora più radicale in caso di ratifica: esplicitare che l’Italia non chiederà mai quei soldi. «Condizioni ridicole – dice Marattin -, nessuno Stato accede a quei fondi volentieri, ma solo quando non ci sono le risorse per pagare le pensioni e gli stipendi pubblici. Dire no, impegnandosi per il futuro sarebbe come affermare: “Giuro che non userò mai il defibrillatore”. Stando bene è ovvio, ma se uno si ritrova per terra, perché escluderlo a priori?».