La Stampa, 10 dicembre 2023
L’ospedale trappola
Inviata a Tivoli (Roma)
Sono le 22.30, Tivoli è immersa nel freddo e nel torpore di una giornata di festa che sta per concludersi. L’ospedale San Giovanni Evangelista è un casermone costellato di luci. In sala operatoria è in corso un intervento, nei reparti di terapia intensiva i malati respirano con l’ossigeno, nel Pronto soccorso dodici persone aspettano di essere visitate quando nell’aria inizia a diffondersi un odore di plastica bruciata.
«Era molto fastidioso», racconta Paolo Gabrielli 39 anni, che era nel reparto in attesa. «Sono uscito fuori per prendere aria ma l’odore era ancora più forte. Sono rientrato e dopo qualche secondo è andata via la luce». In quel momento le fiamme stavano già divampando e gli impianti di controllo e di sicurezza avevano già fallito il loro compito. «Erano le 22.40 quando sono iniziate ad arrivare le prime richieste di soccorso», racconta Andrea Di Lisa, responsabile della Protezione civile di Tivoli. L’incendio è scoppiato sul retro dell’ospedale in un’area dove sono immagazzinati i rifiuti speciali. Uno dei container ha preso fuoco e le fiamme hanno camminato rapidamente verso il Pronto soccorso, nei corridoi, nelle scale. In pochi istanti hanno raggiunto i cavi dell’energia elettrica e hanno gettato l’ospedale nel buio più totale. «È andata via la luce, c’era gente che urlava – racconta padre Lorenzo, il cappellano della struttura – sono uscito e ho visto gli infermieri che iniziavano a portare via i pazienti a braccia».
La sala operatoria, le terapie intensive, i reparti i corridoi e il Pronto soccorso vengono inghiottiti dall’oscurità mentre le sirene iniziano a suonare. Paolo Gabrielli e gli altri pazienti hanno a disposizione delle luci di emergenza. «Ma si vedeva poco, sono stati momenti di panico. Su 12 ricoverati in due eravamo in grado di camminare, gli altri hanno dovuto essere portati a braccia. Abbiamo dato anche noi una mano poi però ci hanno fatti uscire passando attraverso l’obitorio e, per farci andare fuori, la polizia ha dovuto spaccare il cancello».
Ormai sono le 23, l’ospedale è un casermone scuro illuminato dalle fiamme che si levano su un lato. Dai piani alti le finestre sono aperte e ci sono persone che chiedono aiuto. I Vigili del fuoco hanno iniziato a lottare contro le fiamme e a montare le scale antincendio. «Le abbiamo montate lungo i due lati dell’ospedale e siamo saliti», racconta il comandante Adriano De Acutis. Nel frattempo sono giunti anche i primi volontari. «Ci siamo trovati di fronte a una situazione molto difficile da gestire», ammette Andrea Biddau presidente dell’Associazione volontari pronto soccorso di Tivoli, una delle due associazioni di volontari che sono state tra le prime a intervenire.
«Le scale principali dell’ospedale non erano utilizzabili perché si erano riempite di fumo tossico, gli ascensori non funzionavano perché non c’era energia elettrica. Per andare a salvare i pazienti rimasti ai piani superiori bisognava usare le scale di emergenza, In questa situazione era impossibile servirsi delle barelle. Abbiamo organizzato le prime squadre per l’assistenza al servizio sanitario. I malati sono stati trasportati con tutto quello che è lecito usare in base alla situazione clinica di ciascuno». Fra i primi ad arrivare anche i volontari dell’associazione Valle Aniene. Sono in sette, la presidente Serena Di Paolo ha ancora negli occhi lo spettacolo che si è trovata davanti: «È stato come un terremoto con l’aggiunta del Covid che ha reso tutto più complicato. All’inizio si è scelto di mettere i pazienti che venivano portati giù in un’ala vecchia dell’ospedale dove però non era stato previsto un percorso separato tra chi aveva il Covid e chi no. Il Pronto soccorso era distrutto. C’era un presidio antincendio nell’ospedale ma non ha funzionato la pompa con l’acqua si è dovuto aspettare che arrivassero i vigili del fuoco. Anche l’impianto di illuminazione non è andato in funzione come avrebbe dovuto. Ci muovevamo con le torce di emergenza che avevamo». Uno dei compiti dei volontari Pronto soccorso, infatti, è stato «illuminare tutto lo scenario con i gruppi elettrogeni e con le torri faro», racconta Andrea Biddau. Alla catena umana che si crea per portare via i malati si aggiunge Veronica Fortuna, arrivata insieme con i volontari di San Polo dei Cavalieri circa un’ora dopo che l’incendio aveva iniziato ad aggredire l’ospedale. «In 12 anni di volontariato e 32 di vita, purtroppo è stata una delle notti più tristi. Ho visto la paura negli occhi dei malati, li ho sentiti urlare, piangere. Ho risposto alle telefonate dei loro cari che volevano avere rassicurazioni. Ho consolato una signora, si chiama Antonietta, aveva una frattura al femore, non poteva muoversi e non voleva andare via, aveva paura. Sono riuscita a convincerla a uscire con il nostro aiuto. Siamo scesi e saliti decine di volte per quattro/cinque piani portando i pazienti nelle lenzuola mentre le stanze erano invase dal fumo e a stento vedevamo dove andare. Abbiamo fatto tutti il possibile. Ci perdonino le anime di chi non siamo riusciti a raggiungere in tempo».
Nel corso della notte il numero di volontari aumenta, alla fine sarà un esercito di quasi cento persone a dare una mano. Dopo le prime due ore di confusione viene allestita una palestra e iniziano ad arrivare decine di ambulanze. Dentro la palestra vengono portati i malati, registrati in base alle patologie e smistati verso le strutture più adatte ad assisterli, alcuni a Palestrina, altri a Monterotondo, Colleferro e Roma. Alle sette del mattino la luce del giorno arriva a rischiarare l’ospedale ormai inutilizzabile e la camera mortuaria dove sono allineate tre salme. «Ho cercato di aiutarti, signor Romeo, ho fatto il possibile. Buon viaggio», scrive Salvatore Pistone uno dei volontari della lunga notte che ha spento l’ospedale di Tivoli e tre vite. —