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 2023  dicembre 10 Domenica calendario

In sella al biciclo per 1.500 chilometri


In sella per 32 giorni consecutivi, una lunga pedalata di 1.500 chilometri da Nagasaki fino a Yokohama. Già questa sarebbe una bella impresa, ma l’avventura si fa ancor più interessante se pensate che il tragitto è stato percorso con un biciclo, l’antenato della moderna bicicletta, quei velocipedi a ruota alta in voga nell’Ottocento.

Proprio così, Eric Knight, 55 anni, past commander di The Wheelmen, un’organizzazione non profit con sede negli Stati Uniti dedicata a mantenere viva l’eredità del ciclismo americano, promuovendo il restauro e la guida dei primi cicli prodotti nella storia, ha deciso di ricalcare l’ultima tappa del giro del mondo in bicicletta percorsa alla fine del 1886 dall’avventuriero statunitense Thomas Stevens.
Accompagnato dall’amico Mark Kennedy, ma lui lo ha seguito in sella a una e-bike, con cui trasportava anche i bagagli, ha pensato e portato a termine questo viaggio, ribattezzato Project Dharma. Rispetto al tracciato di Stevens, la coppia di amici ha fatto una piccola deviazione per provare il percorso ciclistico Shimanami Kaido, una sosta al Museo della bicicletta Shimano a Sakai e una tappa al Monte Fuji. Knight ha ereditato la passione per le biciclette vintage dal nonno e guida le bici a ruote alte dall’età di 11 anni. Possiede anche la Columbia del 1884 del suo avo, che è la stessa marca e lo stesso anno di fabbricazione del velocipede che Stevens ha guidato in giro per il mondo.«Mio nonno aveva letto il libro di Stevens sul suo viaggio intitolato Il giro del mondo in bicicletta, e ne aveva discusso con me», ha raccontato al Japan Times Knight, «Dal 1971, ci sono state circa 30 persone che hanno ricreato la parte americana del suo viaggio, ma nessuno aveva mai fatto la rotta del Giappone. Ho pensato che sarebbe stata una grande sfida e avventura, quindi ho proposto l’idea a Mark». «La congestione del traffico e i semafori frequenti nelle città sono state le mie sfide più grandi», ha aggiunto Eric Knight, «Se stai prendendo la maggior parte dei semafori rossi e devi scendere e montare ogni isolato o due, non ci vuole molto prima che ti stanchi o inizi a sforzare il tendine d’Achille e le ginocchia». «Ciò», ha continuato il ciclista, «mi ha portato a sviluppare la tecnica, non proprio ortodossa, di appoggiare una mano o un piede contro un palo o un guardrail per evitare di scendere dalla bicicletta. Ripartire da quella posizione precaria mi ha causato qualche caduta... capita di perdere l’equilibrio, ma la discesa di emergenza mi ha salvato molte volte durante il viaggio».