Robinson, 10 dicembre 2023
Come si medita
C’è chi sostiene che bisogna meditare con gli occhi aperti e chi sostiene che bisogna farlo con gli occhi chiusi. Io faccio un po’ l’uno un po’ l’altro. Una volta a un grande maestro tibetano un suo allievo chiese: «Maestro, non ti ho mai visto meditare». Lui replicò: «Mi hai mai visto distratto?» e chiuse l’argomento. Insomma ognuno deve seguire la tecnica adatta alla sua natura. La mente può creare immagini, e mondi, si possono visualizzare dèi, fare quello che sembra impossibile. Però l’altro aspetto, quello del Vuoto Cosciente in cui andremo a finire prima o poi, è Pura Gioia.Nell’Ashram di Ramana Maharshi ho provato una micro estasi, sarà durata al massimo un paio di secondi. Francisco Varela, biologo-neuroscienziato di fama internazionale che aveva scelto la via spirituale, ebbe la fortuna di incontrare Tulku Urgyen a Katmandu. Mentre stavano parlando di tecniche meditative, Varela gli chiese se poteva fargli provare l’esperienza del Pointing-out Instructions. Nessun problema, rispose Tulku Urgyen e lo scaraventò in una dimensione di Pace Immensa. «Io l’ho provata per un’ora», raccontò Varela, «e nessuno me la potrà più togliere».Ramana Maharshi per esempio, non voleva allievi. E quando uno gli chiese: «Maestro, mi insegna a meditare?» lui rispose: «Che ti devo insegnare? C’è un solo modo». Alzò il braccio destro e diresse l’indice verso il cielo. Lui a sedici anni, una notte, credette di morire. Era sicuro. In pieno incubo, cominciò ad analizzarsi. Io non sono il mio corpo, non sono i miei pensieri, non sono i miei desideri, le mie paure, non sono questo, non sono quello… Cosa sono? La mia Coscienza! Be’, in una notte risolse il suo problema. Se ne andò via di casa, entrò in una grotta e cominciò a meditare. La sua ascesi arrivò presto, andava in estasi. Quando rientrava nel corpo, veniva sempre disturbato da ragazzini che a volte gli tiravano le pietre, e c’era qualcuno che li cacciava e li mandava via. Ma Ramana diceva: «Lasciali stare: io faccio il mio mestiere, loro fanno il loro». Era un uomo incredibile che aveva grandi e innate capacità.Ritornando alla meditazione, faccio i miei esercizi nella posizione in cui mi trovo più comodo. Per molti vale la posizione induista del loto, cioè seduti per terra con le gambe incrociate, ma per me è difficile perché sono alto, e mi stanco. Infatti ho sempre meditato da seduto o su uno sgabello anatomico. È sufficiente stare seduti in modo regolare, con la spina dorsale abbastanza dritta, mani sulle gambe, tipo antichi egizi, oppure con una mano sull’altra.Molte delle cose che faccio però, sono personali, sono venute fuori a poco a poco. Comunque se vuoi davvero meditare, o hai un maestro che ti correggetutte le volte che stai facendo delle cose sbagliate, oppure riesci a farlo da solo. Alcuni esercizi sulla respirazione li ho imparati da me. Ilprana è la nostra energia vitale, e per fare in modo di assimilare le energie sottili, bisogna lavorare sulla respirazione. Quando leggevo che bisogna separare le energie grossolane da quelle sottili mi chiedevo: ma come si fa? E ci sono riuscito, da solo. Non l’ho potuto ancora comunicare a nessuno, perché non è facile descriverlo a parole.Io medito tre volte al giorno: la mattina prima della colazione e dopo essermi lavato. All’imbrunire, prima di mangiare, e la sera prima di andare a dormire. Però ognuno sceglie il suo modo. È chiaro che cambiano i volumi di tempo, cioè, se faccio un’ora o quarantacinque minuti al mattino e all’imbrunire, la sera ne faccio dieci, e cerco di entrare nel sogno lucido.L’unico intoppo che ho avuto sul mio cammino è stato durante l’incisione di Café de la paix. Forze contrarie molto potenti mi impedivano di entrare nel mio mondo. Mi faceva star male non riuscire a meditare. Appena mi sedevo, il buio, terribile. È durato circa sei mesi, che mi sono parsi interminabili. Adesso quello che attendo e desidero di più, è il momento della meditazione. Quando mi capita, per qualche motivo, di poter fare solo pochi minuti, mi sento in colpa. Per me è molto difficile rinunciare a quel rilassamento puro, che mi dà un senso di riappacificazione.Dobbiamo ribadire una cosa: che noi siamo esseri mutevoli. Cerchiamo di fermarci, però siamo sempre in cambiamento. E questo vale per tutto, anche per i rapporti. Purtroppo abbiamo l’ossessione di restare fermi dove siamo, ma questo non è possibile. A volte mi capita di vedere la natura che vedo tutti i giorni come un qualcosa di superiore, di percepire la sua stabilità. Ecco, non vorrei usare termini pericolosi, ma la vedo come un paradiso terrestre, di cui gli uccelli sono una manifestazione meravigliosa. Poi se li studiamo con un altro occhio vediamo che anche gli uccelli litigano, soffrono, eccetera. Quindi ci sono tutti e due gli aspetti. Però è più facile meditare nella natura, tra i profumi, davanti ai fiori e agli alberi. Insomma, per farla breve, ho sempre considerato la natura alla stregua di un linguaggio, un linguaggioche va decodificato. Quando vidi per la prima volta il Grand Canyon, vidi qualcosa di primordiale, che rende l’esperienza stessa il vero oggetto. Non sei tu che guardi e dici “ma che bello”, sei assorbito da ciò che vedi e diventi quello. Si scambia il soggetto con l’oggetto. È un paesaggio talmente estremo! Ha una terra rossa che ricorda Marte, e fra l’altro è identica a quella che c’è sull’Etna, in alto.«Se avete dei problemi, andate in un bosco», mi disse uno sciamano che vive in Bretagna, e aggiunse: «Quando ho bisogno di energia vado sotto gli alberi». E questo funziona. Mi è venuto in mente che ogni tanto l’ho fatto anch’io. Al mattino presto, per esempio, quando il sole sorge, capita che illumini solo le foglie degli alberi che stanno in alto, dando loro un colore bianco, di una purezza totale… È quella che i mistici chiamano l’esperienza del bianco. E poi le note cromatiche di certe nuvole di passaggio, leggere eppure di un’intensità così suggestiva da diventare quasi assordante. I colori della natura per me sono linguaggio. Il profumo dei fiori è linguaggio. Avvicinarsi a un gelsomino o a una zagara è inebriante, e quei fiori sono solo una miliardesima parte delle esistenze superiori. In un mio saggio,Gli atei e i finti credenti, raccontavo come già solo il movimento dei flessori di una mano sia un meccanismo così perfetto e complicato, da essere superiore all’intelligenza di certi umani.Non è possibile che la materia possa avere inventato il genio, il talento, l’intuizione. Quando ascolti compositori come Bach, Händel e così via, se hai un minimo di sensibilità, resti allibito dalla profondità delle loro opere. Pensi: «È possibile che un essere umano abbia potuto creare questo venendo dalle scimmie?» Altra barzelletta insuperabile. Non ho mai visto una scimmia diventare uomo, e non perché ci vogliano milioni di anni prima che lo diventi, bensì perché lo è già: la scimmia è un essere umano, retrocesso. Mi è capitato di vedere insetti con i quali mi sono allineato, nella percezione reciproca. E allora capisco che loro sono come me, in un’altra condizione.Quindi non dico: «Io sono un uomo, ragiono eccetera». Nel momento in cui c’è quel grado di percezione che riguarda anche l’intuizione, in cui l’insetto ha paura di me o comunque non sa che tipo di essere sono, vuol dire che tutto si riduce a una non conoscenza allarmante, da un certo punto di vista. Non ho mai fatto differenza tra cani, gatti ed esseri umani. Da sempre vedo esseri umani che vivono come imprigionati nel carcere della propria natura. Anche l’essere umano è così.Noi siamo degli ospiti, all’interno della natura. Però, come diceva quel tibetano di cui parlavamo prima, ilsamsara è una proiezione del nirvana. Con i dovuti paragoni, tutti i mistici affermano che la mente ha bisogno di questo spazio naturale. Poi è chiaro che puoi meditare anche in una stanza, ma la mente si adegua all’ampiezza dell’orizzonte. Meditare di fronte a grandi spazi anziché in spazi angusti è determinante.Quando meditavo a casa mia a Milano vedevo un albero in mezzo al cemento. Già vedere quell’albero, con tutte quelle foglie e qualche uccello che si posava sui rami, mi bastava; se non ci fosse stato sarebbe stata molto più dura. Adoro gli uccelli. Una volta, due piccoli sono entrati nella mia veranda e non riuscivano più a uscire e sbattevano contro il vetro. Li ho presi tutti e due e li ho fatti volare via. Come fa la gente a tenere gli uccelli nelle gabbie, non lo so.A cura di Eugenio Lio e Elisabetta Sgarbi