La Stampa, 9 dicembre 2023
Donne e uomini che tradiscono nella cultura classica
Il capolavoro che sta all’origine della cultura occidentale, l’Iliade, inizia con la lite violenta tra il re Agamennone e l’eroe Achille per il possesso della schiava Briseide.Alcuni commenti collocano lo scontro in una prospettiva storico-sociale, da un lato Agamennone simbolo di un potere monarchico indebolito nella propria autorità, dall’altro Achille espressione di un’aristocrazia emergente ormai capace di opporsi al volere sovrano. Altri si soffermano sugli aspetti etico-caratteriali, la prepotenza del re che pretende ciò che non gli spetta e lo slancio dell’eroe che difende ciò che è suo (sic!). Altri ancora analizzano gli aspetti della comunicazione, notando che il litigo avviene nell’assemblea dei guerrieri achei, con Agamennone che parla in piedi e poi si siede, Achille che si alza e inizia il discorso ricollegandosi alle ultime parole del suo interlocutore, per poi sedersi a sua volta: in questo scambio veemente di punti di vista opposti si riproducono le modalità dei dibattiti tipici dell’agorà greca. Nessun commento si pone però dal punto di vista di Briseide, che probabilmente non vuole andare né nella tenda dell’uno né in quella dell’altro, ma essendo una piacente prigioniera di guerra («Brisedie guancia graziosa») diventa possesso sessuale del vincitore.È vero che la cultura del mondo antico prevede la schiavitù dei vinti e che il possesso sessuale ne è uno degli elementi costitutivi, ma proprio perché da quella cultura ci siamo emancipati sarebbe opportuno commentare Omero anche da questo punto di vista e accendere i riflettori sulla sorte di Briseide e non solo sulle conseguenze della zuffa tra i protagonisti guerrieri. Perché la cultura classica deve essere studiata per quanto esprime di eterno, ma anche compresa per quanto propone di storicamente relativo.Oltre due millenni dopo, agli albori dell’Europa moderna, vi è un altro capolavoro, Otello di Shakespeare, una delle opere più note della letteratura, ancora oggi replicata in tutto il mondo sia nella versione teatrale, sia in quella lirica di Giuseppe Verdi. Il condottiero al servizio della repubblica di Venezia, innamoratissimo della moglie Desdemona che lo ricambia con pari trasporto, viene convinto dal perfido Iago che lei in realtà lo tradisce: Otello, accecato dalla gelosia, la uccide nello stesso letto nuziale. Nella versione shakespeariana, come in quella verdiana, il “malvagio” non è Otello che uccide, ma Iago che accusa ingiustamente Desdemona di aver tradito: Otello appare la vittima tragica di una trama ordita a suo danno. Il messaggio sottinteso è che se Desdemona avesse davvero tradito, l’assassinio sarebbe stato legittimo, o avrebbe comunque avuto ragion d’essere; se una donna sceglie un altro uomo si pone automaticamente dalla parte della colpa e questo giustifica qualunque reazione.Quando le parti si invertono e a tradire è il maschio, ci sono ben altri linguaggi, dalla malinconia di Arianna abbandonata da Teseo alla disperazione suicida di Didone lasciata da Enea. E quando la donna non si rassegna alle lacrime e reagisce accecata a sua volta dalla gelosia, non è una vittima del destino, ma un’assassina che si copre di infamia, come in Medea di Euripide: la protagonista, tradita e abbandonata da Giasone che si accinge a sposare la figlia del re di Corinto, si vendica uccidendo i due figli avuti da lui e mandando alla rivale una veste avvelenata che la soffoca. Nessuna indulgenza per la strega Medea, bollata come donna diabolica che nel vortice dell’ira giunge a rinnegare la sua natura di madre.Nelle scuole (almeno in quelle dove la letteratura e la storia hanno ancora qualche spazio) dobbiamo continuare a leggere i capolavori di Euripide e di Shakespeare, ma decodificandone i messaggi sottesi. E dobbiamo attualizzare l’argomento, spiegando che non si tratta di stereotipi del passato, ma di attitudini discriminatorie che in Italia sono state ospitate nell’ordinamento penale sino a tempi recentissimi. Solo nel 1968 è stata emessa una sentenza di incostituzionalità dell’art. 559 del c.p. che puniva come reato l’adulterio della moglie (ma non quello del marito). E ancora più tardi, nel 1981, è stata abrogata la norma relativa al «delitto d’onore» (art. 587 c.p.), secondo cui «chiunque cagiona la morte della moglie, della figlia o della sorella nell’atto in cui ne scopre la illegittima relazione carnale» non compie un omicidio (magari non premeditato, ma certamente volontario), bensì un «delitto d’onore»: due/tre anni di carcere e i conti con la giustizia erano saldati.In questi giorni sofferti, segnati da femminicidi quotidiani, ben vengano le iniziative di sensibilizzazione a tutti i livelli, le sollecitazioni perché a scuola si attivino percorsi formativi mirati e corsi di educazione all’affettività. Tutto ciò che può difenderci dai rapporti malati e dalle loro derive è utile. Ricordiamoci sempre anche di decodificare ciò che la letteratura ci ha consegnato, contestualizzandolo. E magari prendiamo a modello l’Angelica dell’Orlando furioso: sorridendo di una cavalleria feudale che non esiste più e dei suoi miti che sopravvivono ancora, Ariosto canta la bella principessa venuta dal Catai, per la quale tutti i paladini di Carlo Magno dimenticano Dio, la Francia e la guerra contro gli infedeli. Vedendo i suoi uomini più valorosi perdersi tra tentativi di seduzione e contese, l’imperatore prende la fanciulla sotto la sua custodia e la promette in sposa a chi combatterà più valorosamente nell’imminente battaglia: ma Angelica, disdegnando Orlando, Rinaldo e i grandi paladini d’Occidente, si innamora di Medoro, un umile fante dell’esercito saraceno, e fugge con lui. Una donna che sceglie, anziché essere scelta. E un poeta che dileggia i guerrieri pieni di muscoli e di maestria, e li trasforma in energumeni folli e ridicoli che sfogano la propria gelosia sradicando gli alberi su cui Angelica e Medoro hanno inciso i propri nomi.