il Fatto Quotidiano, 8 dicembre 2023
“Cara signora Moro”: così Berlinguer il 16 marzo 1978
La voce stentorea; la scrittura stretta, a scatti; il volto e il corpo di un monaco della politica. Enrico Berlinguer vive ancora e non solo per la questione morale. I padiglioni al Mattatoio di Roma – quartiere rosso, massì diciamolo pure, di Testaccio – sono due e trasportano il visitatore in una dimensione senza tempo. Si potrebbe dire eterna, considerando la laica sacralità che da quasi quattro decenni avvolge dolcemente l’icona del compagno Enrico. Compagno che fu segretario del grande Pci dal 1972 al 1984, l’anno della sua tragica morte dopo il comizio di Padova, a giugno.
In duemila metri quadrati c’è la vita di Berlinguer. Appunti e biglietti, i manoscritti dei discorsi, le foto, i libri della sua formazione, la sua scrivania di casa, finanche gli occhiali e l’orologio che aveva a Padova, in quel 7 giugno del 1984. La voce, poi. Disposti come in una capsula spaziale, all’interno di plafoniere trasparenti, dei diffusori neri rimandano spezzoni di comizi. C’è il Berlinguer, per esempio, che grida la solidarietà del Pci al popolo cileno massacrato da Pinochet, il macellaio fascista, e assicura che i comunisti italiani faranno “tutto il loro dovere internazionalista”.
I comunisti italiani, già. La mostra che si aprirà il 15 dicembre al Mattatoio dimostra questo: che il Pci, e soprattutto il Pci di Berlinguer, è sempre stato un’altra cosa rispetto ai partiti fratelli dell’Est europeo. Non proprio i compagni divoratori di bambini riscoperti da Silvio Berlusconi nella Seconda Repubblica e ancora oggi riproposti dalla propaganda della destra di Giorgia Meloni.
Anzi.
Di fronte alla marea di documenti, mappe, video, foto, elenchi, discorsi esposti nei due padiglioni si appalesa la certezza che per molti versi il Pci è stato un vero partito delle istituzioni, molto più di altri. E che ha contribuito a salvare la Repubblica nella cupa fase che va dalla strategia della tensione, alla fine degli anni sessanta, al rapimento e all’omicidio di Aldo Moro del 1978. Non solo. Impressiona pure l’elenco delle leggi approvate in Parlamento, dal 1968 al 1982, con il sì o l’astensione del Pci. Eccone alcune: lo Statuto dei lavoratori (1970); la tutela delle lavoratrici madri (1971); i consultori familiari (1975); la riforma del diritto di famiglia (1975); la legge Merli sull’inquinamento; il servizio sanitario nazionale (1978); l’abrogazione del delitto d’onore e del matrimonio riparatore (1981).
Ovviamente, la fase più alta e intensa del berlinguerismo fu la solidarietà nazionale, ovvero il compromesso storico con la Dc, dal 1976 al 1978. C’è la corrispondenza con Giulio Andreotti, che guidò i due governi dapprima con l’astensione poi con l’appoggio esterno del Pci. E ci sono le due versioni del discorso sulla fiducia, in quel 16 marzo 1978 devastato dalla notizia del rapimento di Moro e dell’uccisione della sua scorta. La prima decisamente critica: il manoscritto rivela l’intenzione di Berlinguer di ascoltare il presidente del Consiglio e quindi decidere come votare. La seconda smussata dalla tragedia provocata dall’assalto delle Brigate Rosse.
Sul caso Moro, il segretario del Pci fu uno dei principali sostenitori della fermezza, ma alla famiglia dello statista dc non fece mai mancare la sua vicinanza: “Cara signora Moro, consenta che mi rivolga a lei con questo appellativo, pur non conoscendola, affinché lei possa avvertire subito la sincerità della mia solidale trepidazione per suo marito, per il quale ho profonda e convinta stima”. La data del biglietto è proprio quella del 16 marzo.
La mostra “I luoghi e le parole di Enrico Berlinguer” ha una vastità notevole, culmine del lavoro dell’associazione Enrico Berlinguer presieduta dall’ex tesoriere ds Ugo Sposetti, a lungo parlamentare di Pci, Pds e Pd. Ci sono voluti quasi due anni per mettere insieme tutto, a cavallo tra due anniversari: il centenario della nascita di Berlinguer nel 2022 e i quarant’anni della sua morte, che cadranno nel prossimo giugno. Il contributo della famiglia è stato decisivo e c’è una sezione intitolata tout court “Affetti”: libri, fotografie e oggetti personali messi a disposizione dai figli Bianca, Maria Stella, Marco e Laura. Le altre sezioni sono: “Il dirigente” di partito; “La crisi italiana”; “La dimensione globale” della leadership di Berlinguer e il suo impegno per la pace (commovente una lettera di Giorgio La Pira al segretario comunista); “Attualità e futuro”; “Una stagione riformatrice”; “Il mondo di Berlinguer”; “Violenza politica, stragi e terrorismo in Italia”. Completano la mostra, oltre alle foto, una selezione di manifesti e persino di vignette satiriche.
Sostiene Sposetti: “Nostalgia? Rimpianto? Nulla di tutto questo. Questa è una lezione di politica e basta, uno stimolo a studiare la storia”. Berlinguer è un’icona anche a causa del deserto di oggi? “Dai, non voglio litigare con nessuno prima della mostra”.