Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2023  dicembre 08 Venerdì calendario

La magia di Barbra così insopportabile da diventare un mito


Quando proposi alla Terza Rete un documentario sulla cultura ebraica americana, il direttore mi chiese di intervistare Barbra Streisand. Lo rassicurai, conoscevo Cis Corman, una casting director che ne era intima amica, la quale mi spiegò che “Barbra” chiedeva prima di incontrarmi. Andai all’appuntamento tranquillo, avevo intervistato Isaac Bashevis Singer, e la diva mi chiese subito come mai fossi interessato alla cultura ebraica. «Devo tutto a Singer, è il mio riferimento culturale» risposi, e dopo un momento di gelo lei replicò: «Non c’è alcun motivo di continuare questa conversazione, arrivederci». Solo più tardi scoprii che Singer aveva scritto sulNew York Times un articolo intitolato: “Perché
Yentl è un film orribile”. Ritengo che questo episodio riveli molto del carattere di questa artista straordinaria, la quale, in procinto di compiere 82 anni, ha dato alle stampe la biografia My name is Barbra.
L’idea stessa di immortalarsi in 992 pagine la dice lunga sul carattere imperioso e la consapevolezza del ruolo imprescindibile nel mondo della cultura popolare, rivelando tuttavia una necessità costante di affermazione e apprezzamento, nonostante i 150 milioni di dischi venduti e l’essere un EGOT, acronimo per i pochi eletti premiati sia con gli Emmy (5) che con i Grammy (9), gli Oscar (2) e i Tony (1).
Barbra è da decenni un’icona, un modello e un mito, e non esiste campo dello spettacolo in cui non abbia eccelso: persino nella regia, dove ha raggiunto i risultati artistici più modesti, ha avuto una candidatura all’Oscar per Il principe delle maree,dopo esser stata la prima donna a dirigere, produrre e interpretare un film per una major. Ha conquistato il mondo partendo da Brooklyn con una voce meravigliosa e null’altro che la avvicinasse alle star dei suoi tempi: con orgoglio e autoironia, racconta come si sentisse diversa per gli occhi piccoli e il naso decisamente pronunciato. Già da bambina era dotata però dichutzpah, quell’invincibile misto di forza sfacciata, irresponsabilità e consapevolezza del proprio formidabile talento, facendo dell’imprevedibilità la caratteristica di ogni scelta artistica. Non c’è concerto in cui esegua nella stessa maniera classici come Memories oThe way we were, ma ogni volta lo spettatore assiste a qualcosa di memorabile.
Per sua stessa ammissione era “una ragazza insopportabile” e il racconto della perdita del padre quando aveva un anno e del difficile rapporto con la madre va di paripasso con il rifiuto di seguire le indicazioni dei docenti di recitazione. Il memoir racconta con vivacità gli inizi nei locali gay del Greenwich Village e spiega come sia rimasta “una ragazza di strada” la cui energia nasce proprio dalla capacità di “far infuriare gli altri”, come successe a Marlon Brando che voleva portarsela a letto ottenendo in risposta di visitare un museo. Sono piene di passione le pagine sul figlio Jason mentre in quelle dedicate all’ex marito Elliott Gould traspare il rammarico che non abbia avuto il successo che meritava. Lei invece diventò una superstar grazie a Funny Girl,e quel ruolo tuttora ne definisce meglio il suo essere insieme insopportabile e irresistibile.
Sydney Pollack ebbe l’intuizione di trasformare queste caratteristiche in un groviglio di passione, alterigia e fragilità in Come eravamo,mentre Peter Bogdanovich ne esaltò le potenzialità comiche inMa papà ti manda sola?.Decise quindi di avere il controllo assoluto dei suoi film arrivando a licenziare Sue Mengers, potentissima agente hollywoodiana e amica personale, la quale la sconsigliava di realizzare Yentl.
«Ho imparato che avrei dovuto essere il padre di me stessa e che non potevo continuare a cercare un uomo che mi avrebbe salvato» racconta e, da autentica diva, nel testo è lei a dare vita a quello che tocca, sia quando parla dei suoi amori – Omar Sharif, Ryan O’Neal, James Brolin, Jon Peters e Andre Agassi – che di Marilyn Monroe e John Fitzgerald Kennedy, ridotti a comparse.
Imperiosa anche nel suo credo liberal, non ha avuto alcuna remora a dare lezioni di politica a Madeleine Albright, e alla fine di questo viaggio appassionante, intrecciato con quello della recente storia americana, si capisce che la sua invincibilità si basa su un’imperturbabile, e almeno in apparenza, sconfinata fiducia in sé stessa.