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 2023  dicembre 08 Venerdì calendario

Conversazione di Alessandro Bariccocon Matteo Caccia


Il testo che qui pubblichiamo è un estratto del podcast «Wild Baricco» realizzato da Alessandro Baricco con Matteo Caccia per Feltrinelli e il Post.
Matteo Caccia: Prima di tutto: perché hai un pianoforte a mezza coda in casa?
Alessandro Baricco: [risata] Questo qui [suona qualche tasto] è un pianoforte che ha più di centodieci anni. È uno Steinway, mi ha accompagnato per tanti anni: c’ho speso, credo, quasi tutti i soldi di Oceano mare per comprarmelo, ai tempi.
Come chi ha letto Abel ha già capito, io comincio a pensare che il tempo non sia lineare. Il prima e il dopo sono un’illusione: questo pianoforte ce l’ho perché suono il pianoforte, male, ma da sempre... ho iniziato a cinque anni e non ho mai smesso. È uno dei grandi piaceri della mia vita. Non suono mai per nessuno, solo per me. Tornare a casa e suonare è una delle cose più belle che mi possano accadere. E quindi ho avuto sempre un pianoforte in casa, anche nei periodi di maggior sbalengamento... però poi devo registrare il fatto che oggi la donna della mia vita è una pianista, e una delle ragioni per cui è venuta a vivere con me quando io gliel’ho chiesto è che c’era il pianoforte... se non ci fosse stato non sarebbe mai venuta o comunque ci avrei messo di più per convincerla. Insomma da quattro-cinque anni, da quando sto con lei, il pianoforte è entrato nella mia vita in maniera addirittura invasiva.
Non so, c’era qualcosa tra me e il pianoforte, al di là di Novecento. Il pianoforte c’è in molti miei libri... ci sono alcune cose che ritornano spesso: bordelli, pianoforti... è strano. E adesso ti dirò che io e Gloria, la donna che amo e che vive con me, ci siamo premiati comprandoci un nuovo pianoforte... che comprarsi un pianoforte Steinway nuovo non dico che sia come comprarsi una Ferrari... ma no, anzi, è proprio come comprarsi una Ferrari se la tua passione è il pianoforte.
Matteo Caccia: Senti, l’amore in età adulta è diverso dall’amore a vent’anni? Sai quando si dice «Eh quella roba lì, quella sensazione, le farfalle nello stomaco», dico una cosa molto banale, «le provi all’inizio, poi a cinquant’anni non succede più». È vero?
Alessandro Baricco: Ma, guarda, io ho avuto una vita strana comunque, per cui non mi azzardo a dire nessuna regola per nessuno... a me è girata che dopo i cinquantacinque anni, insomma negli ultimi dieci-quindici anni, sono forse successe più cose, da quel punto di vista lì, che in tutto il resto della vita.
Ma perfino... proprio perché sono qui a sputtanarmi nel nome di Abel... ma perfino il corpo, secondo me, prima non sai cos’è. Il tuo, eh. Però forse anche quello degli altri...
Matteo Caccia: E quand’è che lo conosci?
Alessandro Baricco: Sicuramente non lo conosci a vent’anni. Quando vedo mio figlio, che ha venticinque anni, so per certo – questo lo posso dire – che lui non ha idea di cosa ha addosso. Che pure è nello splendore, no?, perché a quell’età lì (io ne ho due di figli, hanno diciassette e venticinque anni): splendore fisico, tutt’e due. Infatti li mandavano in guerra...
Dal punto di vista di come il corpo ti detta la vita, dal punto di vista erotico, dal punto di vista della bellezza ad esempio... non puoi averne una idea precisa.
Identità
«Abel è un libro piccolo ma molto denso. Dentro c’è l’uomo che io sono diventato nel tempo»
...Però sai quante cose uno scrive, quando non le ha ancora capite, ma con una precisione pazzesca? Come se in lui ci fosse un sapere ancora chiuso nell’uovo, chiuso nel guscio, che poi riverbera in questa maniera involontaria nel racconto... Siamo dei sapienti mescolati: la saggezza, la sapienza, il capire non sono un processo lineare, è un’unica grande esplosione, che avviene in un istante, non sai quale, e tutto il resto sono questi brandelli che tu raccogli... e tra i vari brandelli del sapere c’è il tuo corpo. E devo dirti che poi quello del sesso, dell’amore fisico, è un capitolo, ma nemmeno il più grande, di quello che può fare il tuo corpo. Quando entri nell’hangar della malattia, il tuo corpo diventa una roba, guarda, pazzesca.
Matteo Caccia: Cioè...?
Alessandro Baricco: Il corpo malato è come uno strumento musicale che non ha mai suonato e inizia a suonare: la cassa armonica, le corde... Il corpo malato seriamente. Ma lui è sempre stato lì, appoggiato sul mobile, capito?, un violoncello appoggiato sul mobile. Ogni tanto strimpellava – magari ti si è rotto un ginocchio —, ma dopo emette suoni che tu non conoscevi, timbri di cui non pensavi fosse capace. Armonie, coincidenze tra cervello e altre parti del corpo... veramente è un capitolo completamente nuovo, paragonabile a quando scopri il sesso a sedici-diciassette anni: prima avevi un corpo per correre, per giocare a pallone eccetera, poi d’improvviso ti scopri che fa delle cose... e anche lì: è uno strumento che comincia a suonare. E paradossalmente la malattia ti porta a un’esperienza molto simile, ecco. Capisci che numero di cose il tuo corpo ha da darti. Tutto sommato, se dovessi fare i conti adesso che c’ho sessantacinque anni, la storia dei corpi è più affascinante della storia delle menti.
Matteo Caccia: Com’è che hai scritto Abel? L’hai scritto in maniera un po’ diversa dal solito...
Alessandro Baricco: Sì, ho cominciato a regalarne delle pagine in giro, a figli, amici, a Gloria, così. Ma lì le cose si sono un po’ mosse, allora poi l’ho mandato all’editore, che non se l’aspettava neanche, peraltro.
Matteo Caccia: E sei contento?
Alessandro Baricco: Abel è un libro particolare, cioè ha un significato particolare per me, di vita, diciamo di biografia, perché mi ha accompagnato in anni difficili. È un libro piccolo, ma è molto denso... quasi in ogni parola, quasi in ogni frase c’è un lavoro dietro.
Gli voglio molto bene, e secondo me è molto bello. Adesso tiro fuori un’arroganza, la più dolce di cui dispongo. Intanto c’è l’uomo che sono diventato nel tempo. Quindi è l’unico libro che io abbia scritto che è figlio di quest’uomo qua.
... È uno di quei libri che hanno questa specie di forza coniugata con la leggerezza, per cui, tac, si staccano da terra, non so come dire, e lì rimangono poi sospesi. E questa credo anche che sia la vocazione più alta dello scrivere libri, cioè quello a cui dovresti mirare, se hai il talento. E, secondo me, io nella vita ho scritto qualche pagina che si è staccata da terra, mai un libro intero. E Abel, io lo guardo e lui sta in aria.
... Non è che posso spiegarlo, ma non lo voglio spiegare, perché poi parlare dei propri libri è orrendo. Ma ho questa sensazione ed è questa sensazione che me lo fa amare così tanto: tanto da festeggiarlo facendo quest’intervista sputtanante, ma poi nemmeno troppo, e renderlo insomma un libro diverso da tutti gli altri per me. Poi non so per i lettori, vediamo cosa succede, però per me è così.