Corriere della Sera, 8 dicembre 2023
L’occidente è stanco
Vladimir Putin umilia i suoi nemici con la tournée nel Golfo, accolto con onore negli Emirati e in Arabia. Intanto la controffensiva ucraina è fallita, secondo i militari americani. Il Senato Usa non ha approvato l’ultima rata di aiuti a Kiev. Di fronte a questi insuccessi, sia Washington che le capitali europee hanno trovato un colpevole: Donald Trump. La possibilità di una sua rielezione, scatenando l’isolazionismo della destra, rafforzerebbe tutti gli avversari dell’Occidente.
P erò mancano undici mesi al voto per la Casa Bianca; inoltre si tende a dimenticare che Putin ha scatenato la massima aggressività sotto due presidenti democratici. Trump è un alibi opportuno per non fare i conti con tanti errori commessi dal febbraio 2022. Biden prima ha sottovalutato il pericolo russo; poi ha sopravvalutato le forze ucraine (ignorando pareri più severi del Pentagono); è sempre stato recalcitrante nelle forniture di armi avanzate; non ha saputo convincere la sua opinione pubblica che in Ucraina è in gioco l’interesse vitale dell’America. In Europa è comodo invocare la «riscossa dei populismi» (da Trump a Wilders) per coprire altre responsabilità. Germania, Italia, e altri membri europei della Nato hanno promesso più spese per la difesa e non le hanno realizzate. Dalla Francia all’Ungheria, altri non vedono l’ora di tornare alla corte dello zar a offrirsi da mediatori in cambio di favori.
Nel frattempo una delegazione dell’Unione europea è a Pechino sullo sfondo di una débâcle commerciale. L’Europa è in «profondo rosso», 400 miliardi di deficit con la Repubblica Popolare. Possiamo vedere in questo immane squilibrio un segno di difficoltà cinesi: importano poco dall’Occidente perché i loro consumi sono deboli; la stagnazione interna costringe le imprese a vendere sottocosto all’estero invadendo i nostri mercati. Guai a ignorare un’altra realtà: la de-carbonizzazione europea è un business cinese. Il Vecchio continente si è lanciato in modo sprovveduto in una corsa verso le energie rinnovabili che lo consegna a un monopolio del made in China: auto elettriche, batterie, pannelli solari, pale eoliche, nulla si salva dal suo dominio.
Se la gara tra l’Occidente e i suoi antagonisti assomiglia più a una maratona che a un Gran Premio di Formula 1, è presto per fare bilanci. Di sicuro in questa fase stiamo arrancando.
La tournée di Putin in Medio Oriente disturba la retorica sul suo «isolamento». Come si spiega? Intanto la Russia rimane una superpotenza energetica, la terza mondiale dietro Stati Uniti e Arabia; è una partner dei produttori arabi nell’Opec+ che la include nel cartello petrolifero. È una presenza militare in Medio Oriente, protettrice di Iran e Siria. La sua forza non è quella dell’Urss però c’è. L’America la supera in quell’area. L’Europa no, il suo peso militare in Medio Oriente è modesto.
La conferenza sul clima Cop28 a Dubai offre una chiave dell’idillio fra il Grande Sud globale e le superpotenze anti-occidentali, Cina e Russia. La transizione energetica vede una sintonia tra le economie emergenti: un arco che include emergenti ricchi (Arabia, Emirati), di medio reddito (Cina, India, SudEst asiatico) e poveri (Africa e Sudamerica). Putin come il principe saudita Mohammed bin Salman capisce che la riduzione nei consumi di gas e petrolio sarà graduale per tante ragioni: non ultima la necessità di sfamare otto miliardi di abitanti della Terra, cosa possibile solo con fertilizzanti derivati da energie fossili. Xi Jinping è un altro campione di pragmatismo il cui approccio piace ai Paesi emergenti. Mentre da una parte domina le tecnologie verdi, la Cina costruisce più centrali nucleari di qualsiasi altro Paese: nell’ultimo decennio ne ha aggiunte 37 arrivando a 55. Al tempo stesso non ha smesso di attingere alle energie fossili: è la più grande importatrice di greggio dal Golfo; in Asia e in Africa, dove gliele chiedono, costruisce anche centrali a gas e a carbone. Il Grande Sud globale si riconosce in questo approccio realista. Vede i danni del cambiamento climatico e vuole mitigarli. Non ha simpatia per l’estremismo ambientalista in voga in Occidente, che predica «tutto e subito, o l’Apocalisse dietro l’angolo». Quel radicalismo trasuda odio verso la crescita economica, inaccettabile per chi è negli stadi iniziali dello sviluppo. Molti slogan in voga tra le frange oltranziste dei verdi ricchi, tradotti nella realtà africana promettono un futuro di buio e carestie. Le rinnovabili arrivano a stento al 20% dell’energia elettrica in Paesi opulenti, ma il nuovo dogma vorrebbe finanziare solo eolico e solare nei Paesi poveri. L’agricoltura biologica dove ha eliminato i fertilizzanti sintetici ha fatto crollare i raccolti. Non è strano che Russia e Cina siano in sintonia con la Cop28 di Dubai, mentre i messaggi apocalittici dell’Occidente irritano.
Per noi è sconvolgente, sul piano morale e politico, che autocrati come Xi e Putin si pavoneggino su un palcoscenico mondiale senza pagare prezzi per i loro abusi. Per esempio, il mondo musulmano a loro due non chiede dei conti per le persecuzioni islamofobe dalla Cecenia allo Xinjiang. Mentre quel mondo a noi rinfaccia due pesi e due misure tra Ucraina e Gaza.
Questo evoca l’altro fronte aperto nella «terza guerra mondiale» in corso, come la chiama papa Francesco. Abbiamo già due guerre roventi e cruente in Ucraina e in Medio Oriente; altri amici di Putin e Xi da Maduro in Venezuela a Kim Jong Un in Corea del Nord sembrano vogliosi di aprire nuovi conflitti. Intanto un terzo fronte è il conflitto interno che lacera Europa e America. Kiev e Gaza sono state tragiche occasioni per misurare quanta parte dell’opinione pubblica e delle giovani generazioni sulle due sponde dell’Atlantico è indottrinata a odiare l’Occidente. Putin e Xi hanno economie piene di guai; il disagio sociale cova nei loro Paesi. Ma quando guardano a quel che accade nei nostri, si convincono che la maratona sarà lunga e l’Occidente sembra già stanco.